TRA LA FEBBRE E LE INCOMPRENSIONI
Tutto questo però non fu privo di croci: la prima, che padre Massimiliano doveva portare ogni giorno, fu certamente la sua malattia: una tubercolosi contratta già da studente. Il dottor Tagashi testimoniò così: «La vita di padre Massimiliano Kolbe fu un continuo eroismo. In qualità di medico e radiologo l’ho visitato ed ho dovuto costatare che aveva un polmone molto malato... a me la sua operosità pareva assolutamente impossibile con le sole forze umane, senza uno speciale intervento divino. Aveva frequentemente la febbre sino a 40 gradi e, ciò nonostante, il suo lavoro era davvero straordinario».
Un’altra croce, sicuramente più grande, arrivò da alcuni confratelli che, presi dalla stanchezza e dalla nostalgia della patria, iniziarono ad ostacolare alcuni progetti apostolici. Massimiliano confidò in alcune sue lettere:
«Mio caro, il nostro compito è molto semplice: sgobbare tutto il giorno, ammazzarsi di lavoro, essere ritenuto poco meno che un pazzo da parte dei nostri e, distrutto, morire per l'Immacolata. Non è forse bello questo ideale di vita? Conquistare il mondo intero, il cuore di tutti gli uomini e di ognuno singolarmente, cominciando da se stessi».