CAMBOGIA: IL MONDO ATTENDE ANCORA UN VERO PROCESSO
di Maurizio Blondet (Avvenire 1999)
"Ciascuno è innocente finché non provato colpevole"'. È un bellissimo principio di civiltà giuridica. Ma provoca una certa nausea quando si sente evocare (com'è accaduto due giorni fa) dal portavoce del governo cambogiano, ad esclusivo favore di Khieu Samphan e di Nuon Chea. E non solo perché questi due sono i collaboratori più stretti di Pol Pot, che giusto vent'anni fa, nel 1979, perse il potere su una Cambogia che il suo regime aveva ridotto, in un triennio, nella più orrenda fossa comune del secolo, colmata di quasi due milioni di cadaveri. Ma anche perché il governo cambogiano, che così evoca il principio base del diritto, è capeggiato da Hun Sen, anch'egli vecchio complice di Pol Pot; e parecchi dei suoi ministri, capi militari, governatori di provincia, sono antichi khmer rossi sterminatori, appena riciclatisi in "democratici". Così non è strano che i due figuri, da poco consegnatisi, non siano stati arrestati come chiedeva l'Istituto Cambogiano per la Democrazia, in attesa che l'Onu formi un tribunale per giudicare i loro crimini; ma anzi, dopo una settimana da turisti fra le spiagge e il celebre sito archeologico di Angkor Wat, siano stati lasciati tornare a Pailin, cittadina al confine della Thailandia dove duemila guerriglieri Khmer Rossi (nominalmente soldati del governo) hanno costituito il loro ultimo "santuario". Insomma liberi e tra i loro fidi. "Non potevamo arrestarli perché nessun tribunale ha emesso contro di loro un mandato'', ha risposto il solito portavoce. Inappuntabile osservazione garantista, che dovrebbe consolarci: i vecchi assassini comunisti stanno imparando in fretta le lezioni del mondo libero. Già. Pinochet ha potuto essere arrestato a Londra, perché contro di lui il mandato c'è. L'ha spiccato un giudice spagnolo, come sappiamo, perché fra i circa 4 mila che la dittatura di Pinochet ha ucciso o fatto sparire c'erano degli spagnoli, insomma degli stranieri. Pol Pot e i suoi scherani hanno evitato l'errore: hanno massacrato milioni, ma di loro concittadini, e il giudice Garzon non ha inchieste da aprire. La democrazia che oggi governa il Cile ha chiesto la consegna del suo ex dittatore, avocandosi il diritto di processarlo. E l'ordine internazionale ha umiliato senza riguardi la democrazia cilena, come non fosse capace di giudicare il suo uomo forte. Salvo nostre distrazioni, non pare che simile offensivo dubbio sia stato sollevato da nessuna fonte autorevole a proposito dell'ambigua "democrazia postcomunista" che governa la Cambogia. Eppure la differenza è evidente: a Santiago non governano ex manutengoli di Pinochet, a Phnom Penh sono ancora al potere, in una coalizione sospetta, i bracci destri di Pol Pot. L'ordine internazionale aspetta che un tribunale di questa Cambogia spicchi un mandato contro i due polpottisti? Forse tutto si spiega sullo sfondo della doppia morale che nutre il giudizio sul Novecento. Quando sono in causa dittature di destra, la storia vien declassata a cronaca: più precisamente a cronaca
nera, di competenza giudiziaria e penale. Per contro le più evidenti atrocità delle dittature comuniste vengono inquadrate (e giustificate) come effetti collaterali di grandiosi movimenti storici, da sottrarre ai procuratori, e da affidare appunto alla Storia con la S maiuscola. Il nazismo ha subito un processo, a Norimberga; nessun processo internazionale sembra profilarsi all'orizzonte della versione più criminale del comunismo, quella cambogiana.