Dobbiamo tenere aperti entrambi gli occhi:
uno per vedere il male, l’altro per ammirare la bellezza
Intervista all' Abbé Pierre (di Giovanni Anversa - quotidiano Avvenire)
Abbé Pierre, che significato ha la memoria per lei? Penso alle tragedie del
'900...
«È importante ricordare, e non ricordare soltanto il male. Io sono una
di quelle persone che nel secolo scorso hanno vissuto la realtà delle due
guerre: da bambino ho conosciuto parenti che durante la Prima guerra
mondiale hanno subito mutilazioni e altre famiglie in cui il padre era
disperso; durante la Seconda guerra mondiale, con tutti i disastri che ha
portato con sé, ho assistito alle deportazioni, ho visto persone che oltre
ad essere deportate venivano costrette a lavorare per il nemico. Tutto ciò
non va dimenticato, ma bisogna essere consapevoli che il passato non ci
protegge per il futuro. Chi avrebbe mai pensato, alla fine del secolo appena
trascorso, quando tutti erano pieni di speranze di pace, che qualcuno
avrebbe tratto ancora orribile ispirazione da quei conflitti? Chi avrebbe
mai immaginato che il nuovo secolo sarebbe stato segnato da un terrorismo
peggiore della guerra perché in un conflitto lo sforzo è quello di avere
forze pari a quelle del nemico? Nella nuova situazione in cui si trova il
mondo il nemico non è ben definito. È inafferrabile. Non ci sono mezzi
logici per combatterlo. In qualsiasi momento quello che è accaduto a Madrid
può succedere in altri Paesi, è un fatto imprevedibile; ma pur ricordando
queste sciagure e in previsione degli attacchi di oggi non dobbiamo
dimenticare che abbiamo due occhi. Se un occhio deve essere aperto
coraggiosamente per vedere il male e per combatterlo, bisogna tenere aperto
l'altro per vedere la bellezza, i fiori che sbocciano di nuovo in primavera,
il sorriso dei bambini. Vedere tutto quello che è bello: le stelle in una
notte limpida e fredda in cui si può vedere lo splendore del cielo. Bisogna
incoraggiare le persone a tenere gli occhi aperti e a guardare le bellezze
meravigliose che ci possono appagare, ma nello stesso tempo avere anche il
coraggio di guardare in faccia il male. A questo si devono preparare i
giovani per essere in grado di capire qual è il loro ruolo».
Lei ha vissuto anche una stagione di impegno politico. Perché la politica
oggi è sempre più lontana dalle persone?
«Lei crede che gli uomini politici di oggi siano più lontani di una
volta dalla gente? Io penso di no. Sono stato in Parlamento, è stato il
periodo meno utile della mia vita perché non ero preparato e perché per
rivestire una carica in politica - compito ingrato, contrariamente a quanto
si pensa - bisogna avere il gusto del potere, di esercitare il potere, ma io
non l'avevo. Ho conosciuto uomini ambiziosi che forse in fondo non pensavano
che alla carriera, ma posso dire che la grande maggioranza dei miei colleghi
dei vari partiti erano persone oneste, degne di stima, che cercavano davvero
di fare del bene».
Chi è oggi un cristiano?
«È colui che può avere il coraggio di dire "Padre nostro", con tutte le
conseguenze che ciò comporta, con la certezza che noi siamo chiamati a
essere figli dell'Eterno con le sue meraviglie, ma nello stesso tempo
dicendo "Padre nostro" riconosciamo di avere il dovere nella vita di essere
fratelli di tutti. Nei giorni scorsi è arrivata una lettera da lontano, dal
Madagascar. Un amico di laggiù ci diceva: "Ho incontrato una ragazza che
portava un bambino sulle spalle. Le ho detto: È un fardello molto pesante, e
lei mi ha risposto: non è un fardello, è mio fratello". Tocca a noi
ricordare sempre che quelli che frequentiamo e quelli che conosciamo devono
essere trattati come fratelli. Essere cristiani è soprattutto questo. Ed è
poi sapere che Dio è unico ma non è solo; Dio è amore, e perciò si
esprime... la parola viene dall'amore tra il Padre... la parola nasce dal
soffio dello Spirito. Questo mistero della Trinità è un'affermazione
dell'assoluta unicità di un Dio che è unico e nello stesso tempo non è solo
e noi siamo chiamati a far parte della sua famiglia».
Cosa stanno provocando le ingiustizie che ci sono nel mondo?
«Come sa, siamo in mezzo a due aspetti contrapposti: da un lato la
tendenza che si manifesta, quando si detiene un po' di forza, è quella di
garantirsi il meglio, il posto migliore, la fetta più grossa della torta.
Questo comportamento da parte dei più forti è d'altra parte una delle
tentazioni costanti dell'uomo. Dall'altro lato c'è un altro fenomeno che si
sta imponendo, e cioè l'indignazione di fronte all'uso della forza a spese
dei più deboli. È una spinta a mettersi al loro servizio con lo stesso
atteggiamento con cui guardiamo ai più piccoli proprio come in quella
cellula primordiale della società rappresentata dalla famiglia».
Ma lei ci crede che questo mondo possa cambiare, nonostante quello che
stiamo raccontando?
«Questa forma di maledizione, questo odierno manifestarsi del male come
predominio dei forti, non ha impedito di agire a personaggi come Madre
Teresa e a tanti esseri umani che non saranno mai famosi, non saranno mai
canonizzati anche se a loro modo potrebbero essere definiti sufficientemente
consapevoli che tutti i giorni, tutte le mattine, ci sono milioni, centinaia
di milioni di mamme e di papà che svegliandosi pensano soltanto a quello che
devono fare per mettersi al servizio della propria famiglia, della propria
comunità. Costoro in realtà, anche se non sanno nulla della Rivelazione,
sono dei santi perché fanno la volontà di Dio, assumendosi le proprie
responsabilità. Queste energie esistono, non le percepiamo, perché non fanno
chiasso, non sono prese in considerazione dalle canonizzazioni. Sono una
moltitudine poco visibile che in realtà rappresenta il lievito che aiuta la
comunità a sopravvivere».