Matisse: l'ultima opera
di Cristina Terzaghi (Tracce, Novembre 2001)
Insieme a Picasso è stato il pittore che più ha lasciato il segno nell'arte del secolo scorso. Henri Matisse, il pittore de La joie de vivre, alla fine della sua vita trovò la felicità nel dipingere gli interni di una chiesa. Una storia poco nota che riaffiora in un libro di testimonianze e lettere inedite
Tutti lo conoscono come il maestro sfolgorante dell'era fauve; il maestro capace di inseguire il filo della bellezza in un secolo che l'aveva smarrito. Henri Matisse è stato senza dubbio un sole rimasto acceso all'interno di un secolo dominato da ben altri bagliori. Il pittore de La danza e dell'Icaro, di Tangeri: paesaggio visto da una finestra che compare sulla copertina dell'ultima Tischreden, colui che è stato capace di cogliere l'essere come sfolgorio di luce e di colori. Sotto la sua mano le linee ritrovavano una misteriosa continuità e armonia: una vera eccezione in un contesto che ha visto le linee, nelle mani dei pittori, infrangersi, spezzarsi, piegarsi nell'enfatizzazione o nel racconto del dramma. Matisse era di un'altra pasta. E lo dimostra una storia poco nota, riaffiorata grazie a un libro, che l'ha ricostruita attraverso lettere e testimonianze: la storia dei celebri dipinti che Matisse, ormai anziano e malato, dipinse per la cappella di Saint Paul de Vence, il suo ultimo capolavoro.Ricoverato nel 1942 nell'ospedale di Nizza, Matisse si trova nella necessità di un'assistenza notturna, gli viene mandata la giovane Monique Bourgeois alla sua primissima esperienza infermieristica. Di Monique, uno di quegli incontri che hanno cambiato la vita del pittore, sappiamo assai poco. Doveva essere piuttosto dotata, a giudicare dal quaderno di disegni mostrati dopo molto tempo all'artista, che li trovò eccellenti, e doveva essere molto bella, dal momento che Matisse la ritrasse più volte, col permesso della madre. Due anni dopo il loro primo incontro, l'infermiera entra nel convento domenicano di Vence. Per Matisse è un duro colpo: lo apprende al telefono e quasi interrompe la comunicazione, altri erano i suoi progetti per Monique, voleva farne una grande pittrice. Diceva Chesterton che l'universo risponde il vero se lo si interroga onestamente: nessuno avrebbe potuto immaginare quale capolavoro sarebbe nato da quella amicizia che allora sembrava sul punto di naufragare. Fu in una delle successive visite a Matisse che Monique, ormai suor Jacques-Marie, mostrò all'artista un disegno di una Madonna con il Bambino, che quasi distrattamente aveva dipinto. Matisse trovò che sarebbe stato perfetto per una vetrata. Fu così che nacque l'idea della cappella del Rosario di Vence. Matisse era ormai vecchio e quasi paralizzato, così Giovanni Testori racconta quell'impresa: "Vetrate, pianete, pissidi: fece tutto lui. E pensare che in quegli anni era ormai immobile, e non poteva più usare nemmeno le mani. Allora disegnava su fogli colorati, rossi, azzurri, servendosi di un gran bastone, e poi, sempre con un bastone, li tagliava e li incollava. Verso la fine della vita, poi, smise anche il colore. Forse scoprì che il suo grande sogno era sempre stato la vetrata, ossia il colore, ma, insieme, qualcosa che oltrepassa il colore: la concentrazione della luce (…). Una concentrazione che diviene fulgore". Suor Jacques-Marie e Lidia, da molti anni assistente di Matisse, furono costantemente al suo fianco nell'impresa, tanto che il vecchio maestro avrebbe voluto i loro nomi accanto al suo nella cerimonia della posa della prima pietra. La cappella fu benedetta il 25 giugno 1951, due anni prima della scomparsa del pittore, che in quell'occasione scrisse al Vescovo di Nizza: "Eccellenza, Vi presento in tutta umiltà la cappella del Rosario dei Domenicani di Vence. Vi prego di scusarmi di non aver potuto presentarvi io stesso questo lavoro a causa dell'età e della mia salute. L'opera ha richiesto quattro anni di un lavoro esclusivo e assiduo, essa è il risultato di tutta la mia vita attiva. Io la considero nonostante tutte le sue imperfezioni come il mio capolavoro. Che l'avvenire possa rendere ragione di questo giudizio mediante un interesse crescente, anche al di là del significato più alto di questo monumento. Conto, Eccellenza, sulla vostra vasta esperienza degli uomini e sulla vostra profonda saggezza nel giudicare uno sforzo che è il risultato di una vita consacrata alla ricerca della verità". Non pare poco per chi quarant'anni prima aveva affermato: "Io sogno un'arte equilibrata, pura, tranquilla, senza soggetto inquietante o preoccupante, che sia per ogni lavoratore intellettuale, per l'uomo d'affari come per l'artista di lettere, per esempio, un lenitivo, un calmante cerebrale, qualcosa di analogo a una buona poltrona che lo riposi delle sue fatiche fisiche", una dimora, insomma: Matisse la costruì per davvero.