La visita di Giovanni Paolo II in Cile

(dal volume di G. Waigel "Testimone della speranza")

 

Il generale Augusto Pinochet era diventato presidente del Cile nel settembre del 1973 con un colpo di Stato che aveva rovesciato il governo di Salvador Allende, un marxista dichiarato, eletto presidente nel 1970. La dittatura di Pinochet aveva cancellato i partiti di sinistra, «sospeso» quelli di centro (compresi i cristiano‑democratici), capovolto le politiche economiche stataliste di Allende e iniziato una forte repressione delle libertà civili. In Cile ci furono casi di desaparecidos forse un migliaio ‑ e il regime ricorse alla tortura contro i suoi nemici di sinistra. E tuttavia il Cile, a differenza della vicina Argentina, non patì gli orrori di una guerra civile, che in Argentina aveva portato a quattordicimila casi di desaparecidos.

I vescovi cileni avevano avuto ragione di preoccuparsi per la dichiarata intenzione del governo di Allende di creare uno Stato marxista in Cile e per i passi che erano stati compiuti in quella direzione. Fu per questo che essi, guidati dal cardinale Raúl Silva Henriquez, di Santiago, si opposero alle violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime di Pinochet fin dall'inizio. Il cardinale Silva fondò un «Vicariato della solidarietà» a Santiago per assistere le vittime della repressione governativa. Egli aveva giocato un ruolo chiave nel coinvolgere il Vaticano in qualità di mediatore quando, nel 1978, era sembrato che Cile e Argentina fossero sull'orlo di una guerra. Quello sforzo, coronato da successo nel 1985 con il trattato di Montevideo, aveva aiutato a gettare le basi per il pellegrinaggio papale del 1987. I cileni erano grati per ciò che Giovanni Paolo II aveva fatto in una situazione che sembrava disperata.

II cardinale Silva era andato in pensione nel maggio del 1983. La designazione del suo successore, Juan Francisco Fresno Larraín, fu una scelta di compromesso: era un uomo di grande devozione la cui nomina, si sperava, avrebbe allentato le tensioni all'interno della gerarchia cilena. Non c'era stato disaccordo tra i vescovi sulla necessità di difendere i diritti umani, ma c'erano stati contrasti sul modo di procedere: se attraverso forme di pressione pubblica, oppure attraverso una tranquilla opera di persuasione. Fresno, che fu nominato cardinale nel 1985, scelse come suo vice, o «vicario pastorale», una delle figure più significative del Vicariato della solidarietà, monsignor Christian Precht, e divenne un pubblico paladino della democrazia e della riconciliazione. Poco dopo la sua nomina, l'arcivescovo Fresnoo stabilì contatti con i leader dei partiti centristi che erano stati messi al bando e li incontrò uno dopo l'altro. A ognuno di loro domandò che cosa si aspettasse per il futuro, che cosa fosse pronto a fare e a che cosa si sentisse di rinunciare. L'arcivescovo, poi, riunì i politici dell'opposizione e lesse loro i punti su cui già si erano mostrati d'accordo. Questi punti diventarono la base dell'Accordo nazionale per la democrazia, proclamato nell'agosto del 1984.

Alcuni vescovi cileni temevano che la visita papale avrebbe rafforzato il regime di Pinochet. Il cardinale Fresno e monsignor Precht erano convinti che la presenza del Papa, i preparativi per la sua venuta e l'esperienza di comunione che essa avrebbe creato potessero restituire vigore alla società civile cilena e, quindi, far progredire ulteriormente il paese nel suo cammino verso la democrazia. La strategia della visita rifletteva l'approccio che Giovanni Paolo II aveva sintetizzato durante la sua conferenza stampa sull'aereo per Montevideo.

Il messaggio di base doveva essere evangelico e morale: «La vocazione del Cile è alla comprensione e non allo scontro», come avrebbe in seguito riferito monsignor Precht. Giovanni Paolo II sviluppò questi temi nei suoi trenta discorsi cileni, confermando la Chiesa nel suo ruolo di paladina dei diritti umani e di fautrice della riconciliazione. Nello stesso tempo, indicò all'opposizione e al governo, che includevano entrambi nelle loro file cattolici seri, che una transizione non violenta a una democrazia fondata sul diritto, come auspicato dall'Accordo nazionale, era la strada giusta da imboccare.

Il secondo obiettivo strategico del pellegrinaggio era quello di dare al popolo cileno l'opportunità di esprimere, mediante la sua presenza e il suo plauso, la preferenza riguardo al cammino che intendeva percorrere in futuro. Per alcune figure eminenti del governo di Pinochet «riconciliazione» era una parola in codice per indicare una Chiesa politicizzata che si sarebbe immischiata negli affari del regime. All'altro estremo c'era l'opposizione di sinistra, che voleva lo scontro, se necessario anche violento, e che dichiarava che «il popolo» non era interessato alla riconciliazione. Durante la visita, «riconciliazione» fu il termine che scatenò il maggior numero di applausi durante i discorsi pubblici di Giovanni Paolo II e il pellegrinaggio divenne un plebiscito non ufficiale sul futuro del Cile.

Il terzo obiettivo consisteva nel creare un'esperienza di società civile attraverso quelle che monsignor Precht chiamava «la riconquista delle strade». Le vie del Cile erano state teatro di repressione, pericolo e scontro. Il viaggio della «papamobile» attraverso le città del paese capovolse l'immagine della «vita di strada» degli ultimi quindici anni. Adesso la strada era per i cileni un luogo di preghiera comune, anziché di tumulti e di cariche della polizia. I posti in cui sarebbero state celebrate le messe papali furono scelti con il preciso intento di far mescolare le persone come da anni non succedeva. Ancora una volta, come in Polonia e nelle Filippine, l'esperienza di solidarietà sociale diede vita a un evento pubblico religioso che riscattò l'autentica cultura del paese e si dimostrò un potente antidoto contro la politica della violenza.

Giovanni Paolo II arrivò a Santiago il 1 ° aprile 1987 e fu accolto dal presidente Pinochet, dittatore da tredici anni e mezzo. Il primo episodio della «riconquista delle strade» si ebbe poi con l'entrata trionfale del Papa nella capitale, dove la Chiesa cilena gli diede il benvenuto nella cattedrale. Più tardi, quello stesso giorno, egli benedisse Santiago dall'alto di una collina che guardava la città, ricordando in modo particolare coloro che erano costretti all'esilio a causa delle loro convinzioni politiche.

Il giorno successivo, il Papa incontrò il generale Pinochet nel palazzo presidenziale, dove i due uomini ebbero un colloquio privato alla presenza del nunzio apostolico, l'arcivescovo Angelo Sodano. Non ci furono discorsi preparati; il Papa e il presidente conversarono. Pinochet incalzò Giovanni Paolo II: «Perché la Chiesa parla sempre di democrazia? Un sistema di governo vale l'altro». Il Papa dissentì in modo educato, ma fermo: «No» ribatté, «le persone hanno diritto alle loro libertà, anche se possono commettere errori nell'esercitarle» . Pinochet disse poi al nunzio che la risposta del Papa lo aveva fatto riflettere meglio sulla questione. In quel momento, però, egli volle una fotografia che lasciasse supporre un beneplacito di Giovanni Paolo II al regime. Così, gli uomini dell'entourage di Pinochet organizzarono le cose in modo che il Pontefice venisse accompagnato su un balcone del palazzo presidenziale, affacciato su un cortile stipato di sostenitori del regime, e là fotografato insieme con Pinochet: un'immagine che fu fraintesa e a torto interpretata come un segno di conferimento di legittimità al regime da parte del Papa, o come una sorta di deroga alle sue convinzioni sui diritti umani. Il fatto che le cose stessero in realtà in maniera opposta sarebbe dovuto apparire chiaro nel discorso rivolto quello stesso giorno agli studenti a Valparaíso. Parlando in uno stadio in cui gli oppositori del regime di Pinochet erano stati detenuti e torturati, egli predicò la non violenza elogiando il desiderio che i giovani avvertivano di «una società più conforme alla dignità propria dell'uo­mo». La scelta del luogo non era stata casuale, così come non lo era l'affermazione che il cambiamento fosse assolutamente necessario.  Il vero confronto si ebbe il giorno successivo, il 3 aprile. Al parco Bernardo O'Higgins di Santiago, alla presenza di un milione circa di cileni, doveva essere celebrata la messa papale per la beatificazione di una religiosa cilena, suor Teresa «de los Andes». Monsignor Precht, incaricato delle funzioni liturgiche del pellegrinaggio, giunse presto sul posto e avvertì che c'era qualcosa che non andava. La folla di fronte al palco dell' altare non rispondeva nel modo consueto del pubblico prima di una messa. Il Papa fu avvertito dell'anomalia della situazione e del fatto che sarebbero potuti sorgere alcuni problemi. La sua risposta fu semplice: «Faremo tutto come stabilito». Durante le letture bibliche della prima parte della messa, scoppiarono disordini tra la folla che si trovava alla sinistra del Papa. Oltre a rendere impossibile l'ascolto delle letture, gli agitatori bruciarono alcuni copertoni che avevano portato nel parco. La polizia tardò a rispondere. Quando essa caricò, i disordini, durante i quali rimasero ferite seicento persone tra rivoltosi e poliziotti, furono aggravati da idranti, botte, gas lacrimogeni. Nel pieno della confusione, un esponente del governo cileno si girò tranquillamente verso padre Roberto Tucci, l'organizzatore dei viaggi del Papa, e disse: « È un bene che questo sia accaduto, così il Papa può vedere com'è questa gente», e intendeva riferirsi agli oppositori di sinistra che stavano bruciando i copertoni.

Da parte sua padre Tucci, per la prima e unica volta durante il pontificato di Giovanni Paolo II, prese in seria considerazione la possibilità di portare via il Papa dal luogo della celebrazione. Le esalazioni prodotte dalla gomma che bruciava e i gas lacrimogeni impedivano al Papa e alle altre persone sul palco di respirare bene. Ma il fumo a poco a poco si diradò, la polizia arrivata in ritardo ristabilì l'ordine e il Papa continuò la messa." I bambini ricevettero la loro prima comunione dalle mani del Pontefice in lacrime, a causa non dell'emozione, ma dei gas lacrimogeni. Alla fine della messa, Giovanni Paolo II rimase sul palco più a lungo del previsto, inginocchiato davanti all'altare, lo sguardo rivolto verso il parco. Nessuno lo avrebbe strappato di là. Il cardinale Fresno, mortificato, si avvicinò a lui e gli disse: «Ci perdoni». Giovanni Paolo II replicò: «Per che cosa? La vostra gente è rimasta e ha partecipato alla messa. L'unica cosa da non fare in queste situazioni è arrendersi agli agitatori». La strada che portava alla nunziatura era gremita di persone che tentavano di dimostrare la loro solidarietà al Papa che aveva rifiutato di arrendersi. Né padre Tucci né monsignor Precht credono che quello che avvenne al parco O'Higgins sia potuto accadere senza una conoscenza preventiva e un tacito assenso da parte del regime di Pinochet. Il tema fondamentale del pellegrinaggio papale era stata la riconciliazione; per giustificare le proprie misure repressive, il governo doveva mostrare che il Cile era intrinsecamente violento. In uno Stato di polizia governato com'era governato il Cile nel 1987 era inconcepibile che gli agitatori fossero riusciti a introdurre copertoni e benzina in un'area controllata senza che il regime avesse chiuso un occhio. Anche il fatto che le agitazioni fossero durate un po' prima che la polizia intervenisse risultava sospetto. Inoltre, neppure uno degli agitatori fu arrestato, nonostante il violento intervento della polizia, che alla fine ridusse i rivoltosi alla calma, e il fatto che l'intero episodio fosse stato filmato. Dopo la messa e i disordini al parco O'Higgins, Giovanni Paolo II ricevette i leader politici dell'opposizione alla nunziatura di Santiago. Al governo l'idea di questo incontro non piaceva, ma il nunzio, l' arcivescovo Sodano, aveva detto che si trattava di una cosa buona in se stessa e per il paese. Nelle brevi note che aveva preparato, Giovanni Paolo II aveva posto l'accento sul fatto che i diritti umani erano inalienabili, ma che dovevano essere difesi senza violenza. I temi erano familiari, ma l'impatto dell'incontro fu notevole. Secondo la versione ufficiale, in Cile non esisteva un’ opposizione politica. L'incontro di Giovanni Paolo II con leader impegnati in un passaggio non violento alla democrazia dimostrava che la realtà ufficiale non era, di fatto, la realtà.

Durante la visita papale in Cile era accaduta una cosa molto importante per il processo di transizione pacifica alla democrazia. Milioni di cileni avevano «votato» la proposta che la vocazione del loro paese fosse alla comprensione e non allo scontro. Le strade erano state riconquistate. Come padre Tucci disse a monsignor Precht, dopo aver osservato l'atteggiamento dei cileni nelle strade: «Questo è un paese di testimoni, non solo di osservatori curiosi». Il popolo cileno aveva vissuto per più di tredici anni un'esperienza che non aveva fatto parte della sua vita nazionale: la mescolanza in pubblico di persone con opinioni diverse che erano capaci di comportarsi civilmente perché, come disse in seguito monsignor Precht, «bisogna essere onesti con il proprio padre», in questo caso Giovanni Paolo II. Anche il governo aveva imparato qualcosa. Dopo aver agito unilateralmente per anni, era stato costretto a collaborare con la Chiesa per l'organizzazione della visita, e questa interazione costituiva già di per sé una sorta di riconciliazione. Gli organizzatori cileni ritenevano che ai mass media occidentali, occupati a registrare il punteggio dell'incontro tra il Papa e il generale Pinochet, questo particolare fosse perlopiù sfuggito. Monsignor Precht, anni dopo, ricordò che le due immagini del viaggio più diffuse erano state la foto del Papa e del generale Pinochet sul balcone

e quella «spettacolare» al parco O'Higgins. Entrambi gli eventi avevano subìto manipolazioni governative di cui non fu data notizia. La cosa più importante fu che non venne riferita la struttura concettuale del pellegrinaggio. Il cardinale Fresno, monsignor Precht e i loro colleghi erano convinti che il presupposto necessario per il ritorno alla democrazia fosse la ricostruzione della società civile. E la condizione necessaria per ricostruire la società civile era la riconciliazione nazionale, ossia quello che loro e Giovanni Paolo II stavano tentando di realizzare in cinque giorni.

La popolazione cilena sembrò aver recepito il messaggio. Il 5 ottobre 1988, diciannove mesi dopo la visita papale, un plebiscito nazionale respinse formalmente la prosecuzione del regime militare. Il 14 dicembre 1989 Patricio Aylwin, cristiano‑democratico e leader della Coalizione di partiti per la democrazia che riuniva diciassette schieramenti politici, venne eletto presidente del Cile con il 55% dei voti, battendo un candidato del governo che raccolse meno del 33%. Secondo gli accordi stretti dal governo e dall'opposizione democratica all'inizio del 1989, il generale Pinochet rimase a capo delle forze armate, ma il ruolo dei militari nella vita pubblica cilena fu considerevolmente ridotto. Per l'inizio degli anni Novanta il Cile era una democrazia stabile.