IL MATRIMONIO CRISTIANO

 

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Se per altri sacramenti la teologia degli ultimi anni ha fatto abbastanza rumore, quando passiamo la matrimonio possiamo forse parlare di putiferio. La ragione è ancora una volta di origine pratico: la necessità di porsi di fronte ai gravi problemi creati da una concezione nuova della sessualità, da mutamenti di costume nella società attuale, dal dilagare del divorzio, dalla regolamentazione delle nascite ecc.

 

Lo studio di questi problemi va affrontato soprattutto in teologia morale. Alcuni aspetti sono di competenza della teologia liturgica e pastorale e del diritto canonico. Noi ci limitiamo ad affrontare quei punti che hanno più stretto riferimento alla teologia dogmatica.

 

DA PRINCIPIO NON FU COSI'

 

Nell’introduzione al suo studio biblico sulla coppia umana. il Grelot scrive: “Noi non dobbiamo cercare nella Sacra Scrittura uno studio della coppia umana simile a quello che noi apprezziamo negli autori moderni. Essa non ci fornisce nè un’osservazione psicologia dettagliata dell’amore-passione, come fanno i nostri drammaturghi e i nostri romanzieri, nè una riflessione filosofica sul significato dell’amore come la troviamo nel Convito di Platone, nè a fortiori una ricerca psicanalitica che mette a nudo i meccanismi dell’istinto, con la loro evoluzione, i loro turbamenti, ecc. Ma oltre passando questi punti di vista frammentari, essa ci offre una dottrina capace di integrarli. Considera infatti la sessualità umana, nella sua totalità concreta, sotto un angolazione ben più fondamentale di quella a cui si pongono la psicanalisi, la psicologia o  anche la metafisica: quella del rapporto della coppia umana come tale con il Dio vivente. Non si tratta dunque soltanto di cercarvi un’etica sessuale. Quest’etica esiste, ma dipende totalmente da una visuale più generale, al di fuori della quale essa perde il suo significato. Ora, questa dottrina non è il risultato di una riflessione razionale, incerta, necessariamente limitata nelle sue affermazioni dal momento che è in causa il mistero di Dio. Essa è parola di Dio; essa fa parte della rivelazione allo stesso titolo della Trinità, della cristologia o della redenzione. E’ vero che non perde mai il contatto con i dati della esperienza umana. Ma essa non li assume e per illuminarli  e, se è necessario, per rettificarli, ponendoli nella prospettiva del mistero della salvezza. Come tutto ciò che appartiene all’esperienza umana, la sessualità fa parte di un universo creato da Dio, decaduto per la colpa dell’uomo, riscattato per la misericordia di Dio. Per questo essa si trova al punto d’incontro di tre forze: la tendenza della creazione verso il fine che le ha assegnato il creatore, la forza  del peccato che da esso la allontana e per di più la sconvolge, la forza della grazia che la rimette in ordine riconducendola a Dio e inserendola nel mistero di Cristo” (11-12).

 

Ci sembra questo il punto di vista biblico-teologico su cui deve costruirsi una teologia del matrimonio come sacramento, cioè come segno efficace di grazia con cui Cristo offre la “salvezza” alla coppia umana, riscattando la vita matrimoniale, in tutte le sue componenti, dalla forza disgregatrice del peccato e addirittura, aggiungiamo, elevandola al suo più alto e definitivo significato.

 

Non stiamo a proporre la teologia biblica del matrimonio che  si può trovare in molte delle opere citate nella bibliografia e in tante altre. Ci basta richiamare i dati fondamentali.

 

Le parole di Gesù sul problema del divorzio: “Da principio non fu così” (Mt 19, 8) possono servire da cerniera alla dottrina biblica del matrimonio. Prendendo atto della situazione “anormale” in cui la coppia umana è venuta a trovarsi a causa della “durezza” del cuore, Cristo risale al disegno iniziale del Creatore per annunziare che ormai è giunto il tempo, perché il Regno è vicino, di restaurare l’ordine divino, il disegno primordiale.

 

Qual era il disegno iniziale? Nella Bibbia vi è un netto rifiuto della sacralizzazione della sessualità, con i relativi riti e miti, che erano così diffusi nell’ambiente circostante. La Genesi parla della creazione dell’uomo e della donna, della volontà di Dio che siano “una sola carne”, della benedizione divina che ha come frutto la fecondità della coppia. Tutto insomma è “molto buono” e la prima coppia, creata a immagine e somiglianza di Dio, è l’archetipo di tutte le coppie umane.

 

Ma proprio da questa coppia ha origine l’esperienza umana del peccato, da quello che “è il peccato comune della coppia prototipo” (Grelot, 40). Si può discutere, come è stato fatto in passato e si fa ancora oggi, sulla eventuale presenza di elementi sessuali nella descrizione del peccato di origine. E’ certo tuttavia che il racconto della Genesi mostra come gli effetti del peccato si riflettono sulla vita della coppia umana: “Fatta per vivere nell’unità più stretta, essa ha tentato di realizzarla in un atto che l’avrebbe resa libera dalla legge divina. Ma i due complici, ricaduti su se stessi, conoscono ora la solitudine: essi non si sentono più veramente solidali, perché Adamo butta l colpa su Eva (3, 12), mentre Eva cerca di attribuire la responsabilità di tutto al serpente tentatore (3, 12). Arriva infine la sentenza di Dio. Essa proclama le conseguenze perpetue del peccato commesso sulla coppia che l’ha commesso e su tutte le coppie che si formeranno nella sua discendenza. I rapporti dell’uomo e della donna, invece di assicurare la loro unità profonda in un clima di mutuo amore, saranno caratterizzati dal dominio dell’uomo sulla donna e dall’attaccamento passionale della moglie per il suo marito (3, 16 b). Il ruolo di capo dato all’uomo si è dunque degradato in potenza di asservimento; l’amore dell’aiuto simile all’uomo s’è degradato in concupiscenza. Quanto alla conseguenza normale del rapporto sessuale che è la fecondità, essa non si realizzerà più che in un contesto di sofferenza (3, 16 a). Ciò che qui è evocato non è che la condizione attuale della coppia umana: creata buona, essa resta ferita dal peccato e ha bisogno di redenzione” (ibidem, 43).

 

Che le cose siano andate male per la coppia umana è un dato di fatto di cui la Bibbia registra regolarmente l’esperienza. La poligamia introdotta da Lamech, il violento discendente di Caino (gn 4, 19), il concubinato, l’adulterio, il divorzio, la prostituzione e tutte le aberrazioni sessuali sono il segno di una degradazione quasi ineluttabile a cui il peccato trascina quello che all’inizio era stato creato e benedetto da Dio.

 

Può stupire il fatto che nell’A. T. vengano accettati la poligamia e il divorzio. Si può solo dire che su questo punto, come del resto in altri, Dio abbia usato un paziente metodo educativo per un popolo che aveva ancora un cuore troppo duro, come dirà Gesù, per comprendere e vivere tutte le esigenze di una legge morale che in modo particolare in questa materia si trova a fare i conti con una estrema difficoltà e fragilità umana. Del resto, a partire dall’esilio, la monogamia prende sempre di più il sopravvento e il matrimonio monogamico diventa l’ideale e la norma. Non avviene la stessa cosa per il divorzio, per il quale bisogna attendere il N.T.

 

Un altro dato dell’A. T. è comunemente presentato da chi tratta il problema del matrimonio: a partire da Osea i profeti si servono dell’esperienza matrimoniale, anche con le sue infedeltà per parlare dell’amore che Jahveh, lo Sposo, ha per la sua sposa, il popolo d’Israele. E’ difficile dedurre rigorosamente da questi testi elementi che riguardano direttamente il sacramento del matrimonio; certamente però essi portano a una considerazione più pura e più alta dell’amore coniugale e ne fanno un segno profetico dell’Amore salvifico di Dio, che è ferito nella sua gelosia dall’infedeltà della sposa, ma nella sua misericordia la farà tornare a sè.

 

Il N. T. contiene molti preziosi insegnamenti sulla vita matrimoniale: segno evidente che la nuova vita in Cristo si riflette con tutta la sua potenza di grazia su questa istituzione così fondamentale.

 

Dal punto di vista dogmatico ci si pone di fronte ai testi neotestamentari con due problemi emergenti dall’insegnamento della Chiesa: trovare il fondamento della sacramentalità del matrimonio e l’affermazione incondizionata della sua indissolubilità.

Bisogna ammettere che a livello puramente esegetico la soluzione dei due problemi non è facile.

 

Per la sacramentalità del matrimonio ci si richiama di solito a Ef 5, 22-33 e in particolare al v. 32: “Questo mistero è grande (to mysterion touto megasacramenctum hoc magnum); lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa”. Il Concilio di Trento  dice prudentemente che questo testo insinua (innuit) il sacramento del matrimonio. Di fatto è oggi impossibile trovare un’interpretazione di tutto il brano che si imponga per la sua evidenza (cf. MS 8, 537-540). Bisogna tener presente che il brano sulla vita matrimoniale è inserito in un ampio contesto (4, 17-6, 20) in cui si esorta a camminare nella nuova vita in Cristo che è soprattutto un camminare “nella carità” (en agape: 5,2). Gli sposi cristiani devono vivere in un rapporto d’amore (agapate: 5, 25) che ha per esemplare quello di Cristo con la Chiesa, del Capo che ha dato la vita per il suo Corpo, stabilendo quell’unità che ha il suo prototipo nell’ “una carne sola” di Gn 2, 24. Questa unione sancita da Dio all’inizio della storia umana, è un “mysterion” grande quanto era come il primo abbozzo di quell’unione nuziale che si sarebbe realizzata fra cristo e la Chiesa. Ma ora che Cristo ha dato compimento ed ha manifestato questo “mysterion”, gli sposi cristiani devono viverlo come Cristo e la Chiesa lo vivono, non solo, si può dire, recuperando la verità del mistero iniziale, ma partecipandone la pienezza realizzata nel Cristo. Non si dice espressamente che il matrimonio cristiano è un sacramento, ma certamente si afferma che gli sposi cristiani sono chiamati a vivere la loro unione in una situazione nuova di luce, di grazia, di agape.

 

Per quanto riguarda il problema dell’indissolubilità, essa ci è attestata in vari passi: Mc 10, 1-12; Lc 16, 18; Mt 5, 31-32; 19, 1-9; 1 Cor 7, 10-11.

 

I testi più interessanti e più discussi sono quelli di Mt. Commenta F. Festorazzi: “Gesù presenta il matrimonio, nel suo annuncio evangelico, come un ritorno al tempo primitivo... Il ritorno al matrimonio primitivo è però dovuto ad un approfondimento del testo genesiaco. Gli antichi non erano arrivati alla scoperta di tale significato in questo testo... Ma, in pari tempo, la novità del matrimonio cristiano non è dovuta soltanto alla interpretazione approfondita di un testo veterotestamentario. Non è cioè un semplice ritorno a un testo primitivo. E’ intervenuta la novità di vita del fatto cristiano: e questa comporta anche una novità di relazione nel matrimonio cristiano. Lo dimostra specialmente l’essere tale dottrina ricordata nel discorso della montagna. Quanto questo sia vero “cronologicamente” è discutibile; è però vero che essa è immessa in tale discorso, ove la nuova Legge è presentata come più perfetta dell’antica e in un contesto che certamente non ha perso del tutto il carattere primitivo-messianico, pur assumendo una forte accentuazione etica. Il matrimonio, cioè, è inquadrato nella storia  redentiva come una via per realizzare la propri partecipazione al Regno dei cieli. Naturalmente questo porta come conseguenza una reazione alla sklerokardia (durezza di cuore) propria dell’A. T.” (in “Matrimonio e verginità”, 93-94).

 

Grosse discussioni hanno suscitato i due incisi “parektos logou porneias” (Mt 5, 32) e “me epi porneia” (Mt 19, 9) che l’edizione ufficiale della CEI traduce: “eccetto il caso di concubinato” e “se non in caso di concubinato”. Si tratta di un eccezione alla proclamata indissolubilità del matrimonio? Il problema riguarda soprattutto il significato del termine porneia. Recentemente C. Marucci ha pubblicato una voluminosa opera su questo problema, esaminando e criticando le varie proposte di soluzione (tra queste la più diffusa è quella del Bonsirven che interpreta porneia come concubinato, come caso di matrimonio invalido), e giungendo alla conclusione che in Mt si parla di una vera eccezione al caso di adulterio della sposa; tuttavia si tratterebbe non tanto “di una concessione o di una facilitazione nei confronti di un comando di Gesù troppo severo, bensì di un adattamento dello stesso comando alla situazione del giudeo-cristiano che deriva dal superiore ideale di garantire la santità del matrimonio” (401).  Secondo T. Stramare invece, “la clausola matteana non è solo apparentemente un’eccezione all’indissolubilità del matrimonio come, ad es., nelle soluzioni “rabbiniche”, ma lo è realmente, in quanto esclude dalla proiezione di Gesù un caso ben determinato, che abbiamo individuato nel matrimonio misto” (87).

 

Difficile dire quale soluzione sia giusta. Opere come quella del Marucci, condotte con rigore scientifico, stanno a dimostrare che se la Bibbia non viene interpretata dal “luogo ermeneutico” della fede della Chiesa, rischia di diventare un emporio di ipotetiche nel migliore dei casi possono classificarsi come fragili.

 

Per l’importanza che ha avuto poi nella valutazione del matrimonio, accenniamo al fatto che il N.T. propone pure l’ideale della verginità cristiana. Scrive il Kasper: “Anche il matrimonio è un segno della speranza escatologica. La festa delle nozze è immagine della gioia e della pienezza che investe tutta la realtà alla fine dei tempi... Unita alla significativa escatologia vi è tuttavia anche una riserva escatologica nei confronti del matrimonio (cf. Mc 12,25; 1 Cor 7, 25-38). Il matrimonio appartiene alla figura transeunte di questo mondo. Esso, in una visione cristiana, non è un valore ultimo, ma penultimo e quindi provvisorio” (43). La tensione escatologica comporta nella Chiesa il segno e il dono del celibato: “Nel celibato “l” al di “là” si visibilizza in un atteggiamento che “salta” il Matrimonio:  ma questo saltare è un raggiungere - sul piano della fede e della speranza escatologica - la stessa realtà profonda (cioè il mistero di Dio) che il Matrimonio contiene, visibilizza e che in pienezza attende. Potremmo dire che il matrimonio visibilizza la realtà nuziale del mistero di Cristo, il celibati visibilizza l’al di là di questa realtà. Il celibato ricorda agli sposati che il Matrimonio è sotto certi aspetti un “per ora” o, meglio, una realtà che esige un al di là, in tensione verso il Regno” (B. Maggioni, in “Il matrimonio cristiano”, 26-27).

 

IL MATRIMONIO NELLA CHIESA

 

La “storia” del matrimonio nella vita della Chiesa è piuttosto complessa (vedere MS 8, 523-537; cf. pure Adnes e Schillebeckx). All’inizio i cristiani non si allontanarono dalle condizioni giuridiche dell’ambiente pagano, il quale del resto considerava il matrimonio come qualcosa di sacro. Soltanto a poco a poco, per vari motivi, la Chiesa prese in mano la piena giurisdizione in materia matrimoniale. Non c’è da stupirsi se, trattandosi di un istituzione naturale e regolata dal diritto civile, il matrimonio dei cristiani nei primi secoli non fu sottoposto a una precisa legislazione ecclesiastica.

 

Soprattutto a proposito del divorzio, nel periodo patristico troviamo testimonianze discordi e a volte difficili a interpretarsi. Le parole neotestamentarie sull’indissolubilità furono senz’altro intese in tutta la loro esigenza; ma i due incisi del vangelo di Matteo avevano lasciato aperta la porta all’affermazione della liceità del ripudio della sposa in caso di adulterio e di nuove nozze, cosa che, a partire dal VI secolo, fu ufficialmente ammessa nella Chiesa greca.

 

Nella dottrina dei Padri troviamo la difesa della bontà del matrimonio e gli inviti a vivere santamente la vita coniugale; tuttavia va notato che i Padri esaltano grandemente l’ideale della verginità, come una realtà nuova e meravigliosa portata da Cristo e vissuta da Lui e dalla Vergine Madre: in questa prospettiva c’era da aspettarsi che da qualche autore il matrimonio fosse considerato quali come una debolezza concessa alla fragilità umana.

 

Mancano una dottrina chiara sul concetto di sacramento, nei Padri non troviamo affermazioni dirette della sacramentalità del matrimonio cristiano. Un abbozzo di questa dottrina si può vedere nella relazione che alcuni autori come Clemente di Alessandria S. Agostino (cf. l’opera di Schmitt), sottolineano tra battesimo e vita santa dei coniugi cristiani e inoltre nelle testimonianze della liturgia (benedizioni, preghiere e messe nuziali).

 

Nei secoli XI e XII la Chiesa avrà una legislazione completa, anche con gli effetti civili in materia matrimoniale divenne oggetto di più attenta riflessione teologica. Nello stesso periodo si veniva precisando il concetto stretto di sacramento: dopo qualche incertezza, anche il matrimonio fu considerato un sacramento e venne perciò incluso nel settenario sacramentale.

 

Sono ancora i Riformatori a non accettare il matrimonio come sacramento e ancora una volta è il Concilio di Trento a definire la dottrina cattolica (sulla dottrina dei Riformatori e sulle decisioni del Tridentino cf. Adnès, 95-104).

 

Tra i canoni sul sacramento del matrimonio (Sessione XXIV) interessano più strettamente la dogmatica il 1º, il 5 º, e il 7º. Nel 1º si dichiara la sacramentalità del matrimonio e quindi la sua istituzione da parte di Cristo e il potere di conferire la grazia (DS 1801). Il can. 5 difende l’indissolubilità del matrimonio, escludendo le ragioni di divorzio (eresia, maltrattamenti, abbandono)riconosciute dai protestanti (DS 1805). Il can. 7 tratta invece dell’indissolubilità nel caso particolare di adulterio. Su richiesta degli ambasciatori di Venezia il Concilio si astenne dall’anatemizzare i greci che ammettevano il divorzio in caso di adulterio e dal condannare certe sentenze dei Padri; scelse quindi una via indiretta che colpiva solo i protestanti: “Se qualcuno dice che la Chiesa sbaglia quando ha insegnato e insegna, secondo la dottrina evangelica e apostolica, che il matrimonio non può essere sciolto per l’adulterio di uno dei coniugi e che nessuno dei due, neppure quello innocente che non causò l’adulterio di uno dei coniugi e che nessuno dei due, neppure quello innocente che non causò l’adulterio può contrarre un altro matrimonio, finchè l’altro coniuge vive, e che commette adulterio colui che, ripudiando il matrimonio adultero, ne sposa un altro, A. S.” (DS 1807).

 

Si è discusso sul valore dogmatico di questa dichiarazione del Tridentino, cioè se si tratta di una definizione vera e propria, e quindi irreformabile, oppure di una dottrina della Chiesa basata sempre sulla sua infallibilità, ma non proposta come immutabile (cf. Jedin, 9-87). Comunque la dottrina del Concilio non fa che confermare la prassi secolare stabilitasi nella Chiesa cattolica e rimasta fino ad oggi inalterata.

 

TEOLOGIA DEL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO

 

Per la Chiesa è fuori dubbio che il matrimonio tra battezzati è un sacramento. Non è facile precisare la natura di questo sacramento (per le opinioni che si fanno strada nella Scolastica cf. MS 8, 533-535).

 

Ciò che di certo si afferma nella teologia cattolica è che ogni matrimonio valido contratto tra due battezzati è per se stesso sacramento e quindi gli stessi sposi ne sono ministri (per gli ortodossi il ministro è il sacerdote, perché ritengono che sia lui a dispensare il sacramento).

 

Perché e in che senso il matrimonio è un sacramento? Per rispondere a questa domanda i teologi si appigliano a vari elementi, ma è difficile trovare affermazioni molto solide e precise. Le sintesi migliori si trovano nei più recenti documento del magistero.

 

Il Concilio Vaticano II parla a più riprese del matrimonio. Ricordiamo i testi più importanti per il nostro argomento. Parlando del sacerdozio comune dei fedeli, la "Lumen Gentium” dice: “I coniugi cristiani, in virtù del sacramento del matrimonio, col quale significato e partecipano (significant atque participant) il mistero di unità e di fecondo amore che intercorre fra Cristo e la Chiesa (cf. Ef 5, 32), si aiutano a vicenda per raggiungere la santità della vita coniugale e nell’accettazione ed educazione della prole, ed hanno così, nel loro stato di vita e nella loro funzione, il proprio dono in mezzo al Popolo di Dio” (n. 11). Il matrimonio significa e partecipa il mistero di unità e di amore fecondo che intercorre tra Cristo e la Chiesa. Potremmo dire significa in quanto partecipa, cioè in tanto può essere segno del rapporto Cristo-Chiesa, in quanto riceve dal sacramento, segno di grazia di Cristo e della Chiesa, la capacità di essere una tale comunità di amore fecondo che rende visibile la fedeltà e la dedizione del connubio Cristo-Chiesa.

 

La “Gaudium et spes” dice più diffusamente: “Cristo Signore la abbondanza delle sue benedizioni su questo amore molteplice, sgorgato dalla fonte della divina carità e strutturato sul modello della sua unione con la Chiesa. Infatti, come un tempo Dio venne incontro al suo popolo con un patto di amore e fedeltà, così ora il Salvatore degli uomini e sposo della Chiesa viene incontro ai coniugi cristiani attraverso il sacramento del matrimonio. Inoltre rimane con loro perché, come egli stesso ha amato la Chiesa e si è dato per lei, così anche i coniugi possono amarsi l’un l’altro fedelmente, per sempre e con mutua dedizione. L’autentico amore coniugale è assunto nell’amore divino ed è sostenuto ed arricchito dalla forza redentiva del Cristo e della azione salvifica della Chiesa, perché i coniugi, in maniera efficace, siano condotti a Dio e siano aiutati e rafforzati nello svolgimento della sublime missione di padre e madre. Per questo motivo i coniugi cristiani sono corroborati e quasi consacrati (roborantur et veluti consecrantur) da uno speciale sacramento per i doveri e la dignità del loro stato. Ed essi, compiendo in forza di tale sacramento il loro dovere coniugale e familiare, nello Spirito di Cristo, per mezzo del quale tutta la loro vita è pervasa di fede, speranza e carità, tendono a raggiungere sempre di più la propria perfezione e la mutua santificazione, ed assieme rendono gloria a Dio” (n. 48). La forza redentiva del Cristo e l’azione salvifica della Chiesa operanti nel sacramento fanno sì che gli sposi vengono fortificati e quasi consacrati per la loro missione, così il loro amore viene assunto dall’amore divino e diventa una via di perfezione e di mutua santificazione a gloria di Dio.

 

Citiamo ancora un testo dalla Esortazione Apostolica “Familiaris consortio”: la comunione tra Dio e gli uomini trova il suo compimento definitivo in Gesù Cristo, lo sposo che ama e si dona come salvatore dell’umanità, unendola a sè come suo corpo. Egli rivela la verità originaria del matrimonio, la verità del “principio” e, liberando l’uomo dalla durezza del cuore, lo rende capace di realizzarla interamente. Questa rivelazione raggiunge la sua pienezza definitiva del dono d’amore che il Verbo di Dio fa all’umanità assumendo la natura umana, e nel sacrificio che Gesù Cristo fa di se stesso sulla croce per la sua sposa, la Chiesa. In questo sacrificio si svela interamente qual disegno che Dio ha impresso nell’umanità dell’uomo e della donna, fin dalla loro creazione, il matrimonio dei battezzati diviene così il simbolo reale della nuova ed eterna alleanza, sancita nel sangue di Cristo. Lo Spirito, che il Signore effonde, dona il cuore nuovo e rende l’uomo e la donna capaci di amarsi, come Cristo li ha amati. L’amore coniugale raggiunge quella pienezza a cui è interiormente ordinato, la carità coniugale, che è il dono proprio e specifico con cui gli posi partecipano e sono chiamati a vivere la carità stessa di Cristo che si dona sulla croce” (n. 13). In questo brano c’è una teologia di ampio respiro. Il matrimonio viene considerato alla luce di tutta la storia della salvezza, che è una storia di comunione d’amore, di alleanza, che trova la pienezza definitiva nell’unione del Verbo con l’umanità e nel sacrificio di Cristo per la Sposa. Commenta J. Ratzinger: “Se tuttavia la rivelazione biblica è fondamentalmente espressione di storia d’amore, una storia d’alleanza, la storia dell’alleanza di Dio con gli uomini, diventa chiaro che la storia umana dell’amore e dell’unione, l’alleanza del matrimonio, riflette come in uno specchio questo mistero. Il matrimonio è “simbolo reale dell’evento della salvezza”, dice l’esortazione. Il fatto inesprimibile, l’amore di Dio per gli uomini, riceve la sua forma linguistica dal vocabolario di matrimonio e famiglia, in positivo e in negativo” (In “La Familiaris consortio”, 81).

 

Perché il matrimonio possa essere il segno dell’alleanza definitiva, deve essere riscattato e portato al pieno compimento. E’ questo appunto che opera il sacramento, inserendo gli sposi nel dinamismo ricapitolativo (redenzione e compimento) del mistero della redenzione.

 

I SEGNI DELLA NUOVA ALLEANZA

 

Il matrimonio è dunque, come tutti i sacramenti, un segno della Nuova Alleanza, segno di salvezza, di grazia, di vita nuova nel Cristo Gesù.

 

I gravi problemi che la società attuale pone nei confronti della dottrina cattolica del matrimonio possono trovare una risposta adeguatamente cristiana solo nella prospettiva sacramentale della Nuova Alleanza, che è appunto nuova, rispetto all’antica, e definitiva.

 

La storia della salvezza non può tornare indietro. Nel fondo di alcuni orientamenti della teologia contemporanea, nascosta da una maschera di progresso, c’è la tentazione di tornare all’Antica Alleanza. C’è, p. e., in certe espressioni della teologia della speranza, in certi aspetti dell’antropologia teologica. E c’è anche in certe considerazioni sulla teologia del matrimonio che decisamente accusano la tendenza a tornare indietro, alla legge mosaica (permesso di divorziare), o all’esaltazione rabbinica del valore del matrimonio senza del quale un uomo non sarebbe uomo (svalutazione del celibato per il Regno).

 

La storia della salvezza non può tornare indietro. Anche se dalla terra sale “un’altra bestia” che opera grandi prodigi e ha il potere di sedurre “gli abitanti della terra” (Ap 13, 11-14), la storia della salvezza non torna indietro: la grazia di Cristo renderà più saldi nella fede e più fervidi nel carità e più pazienti nella speranza coloro che l’accolgono con cuore sincero e sono disposti a lasciarsi condurre dallo Spirito sulle vie della perfezione della carità.

 

Su questa via che la via della Chiesa ci accompagna Cristo con i segni della Nuova Alleanza, i sacramenti, segni efficaci della sua opera redentrice. Non ci si può aprire pienamente ai sacramenti se non con una fede totale e con totale disponibilità. La grazia divina sa pazientare, ma non scende a compromessi: non lo può, perché non può non volere la nostra pienezza di vita.

 

Non chiediamo quindi alla Chiesa, sia nei problemi riguardanti il matrimonio sia in quelli che toccano altri settori difficili della vita, di scendere a compromessi distruttivi della novità cristiana. Chiediamo invece la purezza della predicazione del Verbo e la forza per attuarne le esigenze, potenza che viene offerta dai segni sacramentali.