La scelta dell'astensione
NON VOTARE SI PUO’: PAROLA DI PANNELLA FASSINO E BERTINOTTI
Sapete chi fu il primo ad invitare a non andare a votare ad un referendum? Non ci crederete mai. Si chiama Marco Pannella. Per uno dei controsensi di cui è piena la storia (soprattutto di alcune persone) fu proprio il profeta radicale il primo che iniziò a dire di non andare a votare ad un referendum, quello sulla scala mobile nel 1985. Tutti poi ci ricordiamo il famoso ”andare al mare invece che a votare” di Bettino Craxi. Ma fresco di pochi mesi, e pochi giornalisti lo ricordano, è l’invito all’astensione fatto da Piero Fassino nel referendum del 15-16 giugno del 2003, voluto da Rifondazione comunista per estendere le garanzie dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori anche alle piccole aziende. Il Prc accusava il segretario ds di scarso senso civico? La risposta del Botteghino era pronta: «Bertinotti che critica la scelta di non votare, invitò al non voto in occasione del referendum che riguardava l’abolizione del proporzionale». Il messaggio dunque era chiaro: se astenersi era legittimo allora, «perché non dovrebbe esserlo oggi?». Il pensiero di Fassino fu argomentato e propagandata in un’intervista a l’Unità proprio alla vigilia del voto: «Se un referendum è sbagliato bisogna ridurne i danni – spiegava –, far mancare il quorum in modo da non pregiudicare misure legislative che affrontino la materia». Astenersi dal voto, quindi. Perché «anche questo atteggiamento esprime una volontà precisa prevista dalla Costituzione», che, infatti, «richiede un quorum per rendere efficace il referendum». L’astensione, quindi, non rappresenta la rinuncia all’esercizio di un diritto, né «l’invito qualunquistico ad andare al mare». È «una posizione che si va diffondendo», insisteva Fassino in un’altra occasione, additando l’esempio di «un appello di eminenti personalità del sindacalismo italiano che vanno nella stessa direzione». Si abbandonava perfino a una creatività linguistica, un po’ insolita in un compassato torinese, coniando per l’occasione il termine «astensione attiva». Come abbiamo visto Pannela, Craxi, Bertinotti, Fassino e molti altri in passato hanno predicato e sostenuto la legittimità dell’astensione ai referendum. Ora che l’astensione la propongono i cattolici per difendere una legge che ha voluto mettere fine al Far West procreativo essi vengono bollati come oscurantisti e antidemocratici, sono denunciati all’autorità giudiziaria ed esposti al pubblico ludibrio.
Sicuramenete smemorati. Forse anche ipocriti...
Sulla fecondazione eterologa
GLI ALTRI TORNANO INDIETRO!
Intervista al card. Ersilio Tonini di Maurizio Blondet
Eminenza, è vero che la legge 40 «ci mette fuori dall'Europa»?.
Come si fa a scrivere cose del genere? Quando due Paesi, Germania e Svezia ci hanno preceduto nel limitare severamente la fecondazione artificiale della donna, vietando la donazione di ovociti?
La Svezia? Eppure è molto laica e progressista.
Quella è la storia più esemplare. La Svezia, per decenni prima di noi, aveva legittimato la fecondazione eterologa senza limiti. Poi, nel 1984, ha dovuto emanare una legge che riconosce il diritto dei giovani, a 18 anni, di sapere chi è il loro padre biologico...
M'immagino che bellezza: un ragazzo bussa alla porta di un uomo sconosciuto, con altra famiglia, e gli dice: tu sei il mio papà. Con quali conseguenze sociali?
Ma quello che stava avvenendo era peggio. Era accaduto che si moltiplicavano i divorzi per «gelosia genetica». Era un tarlo che rodeva le coppie, e anche i figli. Fra i ragazzi svedesi, ad esempio, si era sparso il dubbio: «Sarà questo mio padre?» Così nel 1988, la Svezia ha vietato l'eterologa.
Esiste dunque la «gelosia genetica»? La ricerca del padre è un fenomeno così diffuso tra i figli della provetta?
Guardi, in Inghilterra la baronessa Warnock, promotrice della legge sulla fecondazione artificiale, in una recente intervista al Times, ha ammesso: io che ritenevo giusto dare alla donna l'accesso alla maternità anche con la fecondazione eterologa, oggi, vedendo quanti sono i giovani che vanno alla ricerca ansiosa del padre naturale, e quanti danni psicologici ne ricevono, ammetto di aver sbagliato. Il periodico tedesco Der Spiegel, giornale non certo clericale, sta documentando seriamente questo nuovo e strano genere di tragedie. Vi ho letto il caso, americano, di una madre che in punto di morte rivela alla sua bambina di 11 anni di averla avuta, diciamo così, da una banca del seme. La ragazza, cresciuta, visita tutte le banche del seme, fa domande, investiga con l'aiuto di detective privati; in una foto di un donatore, uno fra migliaia, «riconosce» suo padre dallo sguardo. Si presenta a quest'uomo, e le lascio immaginare le conseguenze. Questo genere di fenomeni va crescendo. Lo stesso Jacques Testart, famoso biologo francese, ateo, è il più grande avversario della fecondazione artificiale. Testart dice: solo gli animali sono indifferenti al loro padre. Per i figli dell'uomo, la memoria del padre, la certezza della sua identità, è parte integrante della loro stessa identità. Questo «eugenismo di mercato», dice Testart, è una disfatta della paternità umana.
Queste informazioni, è la prima volta che le sento.
Ecco, questo è il punto che mi amareggia di più.
Sull'eliminazione degli embrioni malati
SCUSATE SE ESISTO!
La storia di Loris Brunetta, malato di talassemia
Genova. Il padre ritornava la sera dall’Italsider e quel bambino che a tre anni era sempre stanco lo preoccupava. E allora analisi continue, fino alla diagnosi di un pediatra specializzato: “Lui d’ora in poi lo curo io, ha la talassemia”. 1964, i bambini talassemici non superavano la pubertà. Loris Brunetta aveva tre anni e si ricorda solo i buchi, scappava sotto il tavolo per non farseli fare. Brunetta tira il fiato, oggi che ha 41 anni e la faccia da ragazzo, la fede al dito e un impiego in comune, a Genova (per un periodo ha fatto le consegne, un lavoro pesante). Nessuno l’ha buttato nel cestino quando lui non poteva farci nulla, e mai nessuno, anche dopo tutti quei buchi e la diagnosi, ha pensato che il cestino sarebbe stato meglio.. “Mi portava mio padre a fare le trasfusioni, quando non lavorava, sennò mio nonno, dice Brunetta, mentre beve un prosecco – “certo, mangio noccioline, bevo, cosa credevi?” –
Brunetta sa che i miracoli sono rari, dice che con la paura si impara a convivere, e che la morte non è il suo primo pensiero la mattina né l’ultimo la sera. Vallo a spiegare a quelli che guardano le cellule da un microscopio e ne trovano una sbagliata, una da gettare, che fare l’amore con una ragazza, anche con l’ago nel braccio che magari fa prurito, non è così male, come vita.
A un certo punto Brunetta si è arrabbiato. Parecchio. Quando è stata approvata la legge sulla fecondazione assistita e i radicali, i genetisti, le madri in provetta, hanno scatenato il dramma. Vietata la selezione eugenetica degli embrioni, ma come, mica partorirete un figlio talassemico? Oscurantisti, cattivi, autoritari. Un figlio così è una condanna alla sofferenza, e via col ripescaggio dall’oblio della talassemia. “Come se esistessimo soltanto come prova di non diritto alla vita, come esempio di spazzatura di cui liberarsi, qualcosa che disturba la perfezione della non sofferenza, e allora giù per lo scarico del water”. Brunetta dice che anche gli altri pazienti sono furiosi: “Ci arrabbiamo con chi non vuole più ricordarsi di essere stato un embrione, con chi studia le cellule e non vede oltre, con chi ci considera mostri da non far nascere: sono un mostro, io?. Vorrei solo che la gente sapesse cos’è la malattia oggi, e sapesse che si può vivere; ed è anche una bella vita, questa, non fa mica schifo, sai? E non esiste al mondo, “mai mai mai” un malato di talassemia che preferirebbe essere non nato, “la sofferenza è niente, in confronto all’essere qui adesso, a incazzarmi”.
Loris Brunetta ha un figlio adottivo, talassemico, ventidue anni. Dipinge benissimo, va all’Accademia di belle arti, è un tipo un po’ “intellettualoide, legge Dostoevskij e fa tardi la sera”. Loris l’ha incontrato da piccolissimo, quando la madre, che adesso è sua moglie, è arrivata al centro trasfusionale di Genova, un bimbo malato e non saper dove sbattere la testa. Il padre era sparito subito, senza nemmeno sapere della talassemia. Loris le ha spiegato che le trasfusioni non sono una tragedia, se il bambino piange poi smette, avrebbe potuto andare anche all’asilo e lei poteva lavorare, se voleva. Lei a poco a poco ha imparato questa cosa scandalosa che è vivere con la sofferenza, con l’imperfezione che ha bisogno di sangue, e di aghi sottopelle per eliminare il ferro. Poi loro due si sono innamorati, sono andati a vivere tutti e tre insieme, dieci anni fa si sono sposati. “Siamo cementati l’uno all’altra” dice Brunetta. Il figlio quando il padre è andato a Roma per partecipare a una puntata di “Porta a Porta”, qualche settimana fa, a dire che lui è vivo e contento di esserlo (e Daniele Capezzone non se l’aspettava, e il biologo che guarda le cellule al microscopio nemmeno, lui quelle cellule imperfette le butterebbe tutte nel cestino), quella sera è rimasto in casa con la madre a guardarlo alla tivù, e gli ha mandato un messaggio sul cellulare: “Quel che è grave nel tentativo di creare geni non è tanto l’idea di migliorare il genere umano quanto quella di sopprimere gli altri, considerati come degli avanzi umani, come dei sottouomini. Il superuomo potremmo anche accettarlo, a condizione che non abbia in testa di eliminare altri uomini. Ciao”. Perché loro, i malati, passano tutta la vita a combattere un male non immaginario e a dimostrare che non sono da meno di quelli con i globuli a posto, “poi arriva un radicale o un genetista o un giornalista che non sa un tubo e dice che è meglio non farci nascere, perché soffriamo troppo e facciamo soffrire troppo loro, e perché siamo troppo diversi, troppo sfigati”, sorride Brunetta, e anche il sorriso è da ragazzo. Quella sera, da Vespa, avrebbe potuto seppellire, e non l’ha fatto, il biologo fissato con le cellule. “Mi ha detto che loro curano i bambini, e che lo fanno per i bambini di sostenere la selezione eugenetica, la diagnosi prenatale, la ricerca sulle staminali. A me non risulta che i biologi curino i bambini, sono i medici a curare i bambini, è diverso. E i nostri medici la pensano come noi, e pensano che la selezione degli embrioni sia una follia: leggono i giornali e scuotono la testa, loro quegli embrioni che altri preferirebbero buttare li seguono, li sgridano, li controllano, li consolano fino a quando, alla fine, muoiono. Loro sanno di cosa parlano, sanno anche che osservare le cellule non dà mai la certezza di quel che nascerà. Non vanno a raccontarlo in televisione, però, dicono che se vedi troppo spesso un medico in video, o sui giornali, allora forse non è un granché, come medico”.
Bisognerebbe chiedere ai malati cosa pensano della sofferenza, invece dappertutto continua a pontificare chi non lo sa: questa cellula è sana però non è proprio come quella là, potrebbe nascere qualcosa che soffrirà, allora la butto. Voi soffrite per altre cose, perché siete grassi o infelici o non abbastanza intelligenti, perché pensate di essere malati e magari non avete niente di niente. Non è molto diverso, e allora io, in mezzo a tutti i vostri meravigliosi diritti alla felicità, pretendo il mio diritto alla sofferenza in vita”. C’è una ragazza di ventidue anni che fa i concorsi di bellezza, e li vince anche, è bella e non porta nessun segno della malattia. Loris qualche segno ce l’ha: “Non farò nessun concorso di bellezza, io, ma sto bene così, e faccio un pesto buonissimo. Io sono qui, non un’entità astratta ma una vita che non vale meno della vostra: la vostra di certo è perfetta, bellissima, ma a noi invece è andata così, e ci piace abbastanza”.
Sperimentazione e false promesse
LA BUGIA DELLE STAMINALI EMBRIONALI
Un cumulo di bugie si è riversato in questi mesi su alcune agenzie di notizie e da qui su numerosi giornali riguardo a numerose malattie che si starebbe vincendo grazie all’uso delle cellule staminali. Quello che non viene detto che nessuna malattia è stata vinta con le staminali “embrionali”. I successi, più di 60, sono stati ottenuti unicamente con le cellule staminali adulte. Afferma Vescovi, «Non è vero che le staminali embrionali rappresentino l’unica o la migliore via per la guarigione di molte malattie incurabili: oggi non esistono terapie, nemmeno sperimentali, che implichino l’impiego di staminali embrionali, né si può attualmente prevedere se e quando questo diventerà possibile, data la scarsa conoscenza dei meccanismi che regolano l’attività di queste cellule, e la loro intrinseca tendenza a produrre tumori. Molto più avanzate invece le linee di ricerca sulle staminali adulte, in numerosi casi già applicate alla terapia.
Lei ha affermato recentemente che dietro al sostegno alla ricerca sulle staminali stanno spesso l’ideologia, e anche «interessi economici rilevantissimi».
«Ci sono coloro che in piena libertà di spirito sostengono che l’embrione ai primi stadi del suo sviluppo non è vita. Non condivido, ma li rispetto. La maggioranza ha invece una posizione preconcetta, e quando si dimostra loro che da un punto di vista biologico la vita comincia con la fecondazione, rispondono: sì però non c’è il cervello, sì però l’embrione non comunica, e tu gli smonti le obiezioni una a una, e quelli si rifugiano dietro a una posizione che è evidentemente ostinatamente ideologica. Dietro a tutto ciò, sapientemente manipolata, c’è un tipo di comunicazione che probabilmente riceve sponsorizzazioni da quanti possono avere interessi economici in queste attività. Niente di strano in tutto questo, la nostra società funziona così. Ciò che però si discosta dalla norma è che qui non parliamo di un qualunque business, ma di vita umana. Questo per me segna il grado di maturazione di una società: se il profitto viene anteposto al benessere dell’individuo, e l’embrione è individuo a tutti gli effetti, la qualità della vita decade».
Qual è un’alternativa promettente alla clonazione per ottenere staminali embrionali?
«Il professor Alan Trounson, a Richmond Victoria in Australia, ha trapiantato una cellula embrionale staminale nel nucleo di una cellula adulta e ha clonato milioni di staminali. Se passasse un brevetto del genere, tutti coloro che basano il valore dei loro brevetti su staminali ottenute da embrioni crollerebbero. E non è la sola ipotesi promettente. Tre settimane fa un gruppo giapponese ha dimostrato che ci sono cellule multipotenti nel testicolo postnatale del topo. Se questo fosse vero noi avremmo nei nostri organi, anche dopo la nascita, una banca di staminali embrionali, utilizzabili nel totale rispetto della vita umana».
Lei, che si definisce agnostico, non manca di ripetere come l’embrione sia fin dall’inizio vita. Ci spieghi questa sua convinzione.
«La biologia non è scienza esatta, ma la fisica sì, ed esiste una branca della fisica che è la termodinamica. Qualunque fisico esperto di termodinamica può dire che all’atto della fecondazione c’è una transizione repentina e mostruosa, in termini di quantità d’informazione. Una transizione di quantità e qualità di informazione senza paragoni, che rappresenta l’inizio della vita: si passa da uno stato di totale disordine alla costituzione della prima entità biologica. Che contiene tutta l’informazione che rappresenta il primo stadio della vita umana, concatenato al successivo, e al successivo, e al successivo, in un continuum assolutamente non scindibile, se non in modo arbitrario.
La sinistra sbaglia causa, parola di comunista
di Pierluigi Fornari
Il figlio in provetta, una tappa dell’emancipazione del proletariato? «Grande balla», parola di un «comunista convinto», Pietro Barcellona. Un uomo da sempre di sinistra. Laico, «ma non antireligioso per principio, perché il tema della trascendenza dovrebbe interessare chiunque». A Pannella e compagni che gridano alla penalizzazione dei centri di ricerca nazionali e all’ingiustizia sociale perché i ricchi, a differenza dei poveri, potrebbero andare all’estero a fare quello che è vietato in Italia, il docente di Filosofia del diritto alla facoltà di giurisprudenza di Catania, risponde così: «È un’ipocrisia. Figuriamoci se il mondo proletario sta aspettando la inseminazione artificiale per emanciparsi...È una battaglia sbagliata che sta seguendo una moda, cioè pensare che la tecnica possa risolvere i problemi profondi della vita umana». Il filosofo mette in guardia contro la provetta selvaggia: «Il patrimonio genetico – argomenta – è un bene che appartiene alla collettività storica nella quale si è formato. Come debbono essere beni condivisi l’ambiente, le piazze delle città, aspetti della vita economico sociale, così ci sono questioni che riguardano la cultura e la antropologia che non possono essere a disposizione di una libertà senza limiti».
Ma il nostro da cosa è specificamente caratterizzato?
«Lo statuto antropologico nel quale io sono cresciuto è quello secondo cui i bambini nascono da una relazione affettiva tra due figure fondamentali, la figura paterna e la figura materna. Freud che certamente non era un sostenitore della Chiesa cattolica, riteneva che il complesso di Edipo, ad esempio, fosse uno dei motori delle continue trasformazioni creative che gli uomini fanno della loro esistenza. Questo complesso si struttura attraverso una relazione affettiva con le figure fondamentali, che non contano soltanto per la loro individualità fisica, ma anche per il patrimonio culturale che trasmettono».
Lei ha detto che potremo arrivare alla gestazione degli uomini nelle vacche o in laboratorio...«Se noi stacchiamo il fatto procreativo dalla relazione affettiva e sessuale si può ipotizzare un futuro in cui la produzione degli esseri umani avviene totalmente attraverso le macchine. Una volta combinato tecnicamente l’ovocita e lo sperma, si procederà a costruire artificialmente degli esseri umani. La scienza potrà arrivare a questo. Ma l’uomo non deve consentire che tutto ciò che è tecnicamente fattibile diventi lecito».
A suo avviso ci sono rischi di pratiche eugenetiche?
«Sono enormi. Inoltre considerare un’espressione di libertà la richiesta di un figlio programmato è in sé contraddittorio. I sostenitori di tale libertà dimenticano che essa è molto legata al caso, ogni forma di pianificazione è il contrario della libertà. Se cominciamo a pianificare i figli biondi, alti, di bell’aspetto, eliminiamo il fattore che consente la libertà. Se il caso non c’è più, se tutto è pianificato, non c’è neppure la libertà. Come uomo che proviene dalla sinistra sono stupefatto di come illusorie libertà astratte dissolvono ogni idea di legame comunitario, di responsabilità collettiva e di etica».
Per la salute, non contro la salute della donna!
IL PERCHE’ DEI TRE EMBRIONI
Perchè la legge ha posto come numero massimo l’impianto di tre embrioni? Perchè molti medici, pur di ottenere un qualche risultato, impiantavano molti embrioni alla volta (fino a dieci), prodotti con stimolazioni ovariche molto forti e pericolose per la salute della donna: così facendo provocavano gravidanze multiple, con successivi interventi di riduzione dei feti (e cioè aborti procurati). Si sono avuti anche casi di madri rimaste incinte di otto feti. Poiché dunque le gravidanze multiple sono rischiose per la salute della madre e dei bambini, che spesso muoiono, oppure rimangono perennemente lesi, nel fisico e/o nella mente, occorre che i medici non impiantino troppi embrioni. Lo stesso prof. Flamigni scriveva due anni fa: “Personalmente, sono stato sempre molto spaventato dalle gravidanze multiple che in passato mi hanno dato molti dispiaceri. Ho perciò suggerito protocolli che comportano il trasferimento di due embrioni (nelle donne più giovani) e di un massimo di tre (nelle donne meno giovani)” (p. 70-71). Massimo tre, proprio come prescrive la legge 40! E questo proprio per la salute della donna e dei bambini, non contro di esse!
UNA QUESTIONE UMANA, NON SOLO CATTOLICA
QUANDO ALEX LANGER SI COMPLIMENTAVA CON RATZINGER
Alex Langer (1946-1995) negli anni '80 fu tra i promotori del movimento politico dei Verdi in Italia. Deputato al Parlamento europeo dal 1989, e membro del Gruppo Verde al Parlamento Europeo, di cui è stato anche il primo presidente. In questo articolo del 1987 mostrava soddisfazione per un documento redatto dal card. Ratzinger:
«Siamo persone impegnate nel movimento ecologista e verde, in maggioranza non cattolici. Desideriamo esprimere soddisfazione e apprezzamento per la recente presa di posizione della Congregazione per la dottrina della fede sulla fecondazione artificiale e la sperimentazione su embrioni (…). Condividiamo alcune affermazioni di fondamentale importanza per la coscienza di tutti gli uomini e che, per noi, comportano profonde conseguenze. Il rifiuto della neutralità morale della scienza e della tecnica e perciò l’affermazione dell’immoralità "in sé" di alcuni mezzi tecnici, indipendentemente dai fini. Il rifiuto della delega a esperti (biologi, medici, ecc.), alla tecnica o all’uomo come soggetti donatori di vita e di morte su comando. Perché "nessun uomo può pretendere di decidere l’origine e il destino degli uomini". Il riconoscimento che "attraverso il corpo viene raggiunta la persona stessa" e perciò quello che tocca il corpo tocca anche la persona. L’implicita affermazione del senso del limite come essenziale a uno sviluppo non distruttivo ma equilibrato delle possibilità umane. Queste motivazioni ci portano non solo a condividere dal profondo delle nostre coscienze il rifiuto di qualsiasi manipolazione genetica dell’uomo, ma anche ad estendere questo rifiuto (…)». In calce – con altri 22 nomi e la data 14 aprile 1987 – la firma di Alex Langer.
FIVET: LA FABBRICA DEI BAMBINI
“Non potevo più continuare a permettere che il mio desiderio di un figlio servisse gli interessi narcisistici della scienza. La coppia ne esce distrutta. Perde il controllo del suo desiderio. Ho conosciuto donne che hanno tentato fino a 14 volte la Fivet, donne che si fanno psicanalizzare per riuscire a sopportare quell'esperimento. Io non voglio passare per la passionaria dell'antifecondazione in vitro, ma ci sono delle cose che si debbono dire. Si deve dire che la donna viene ridotta a una macchina da superovulazione. Ci tolgono prima il sesso, poi il cuore e infine la mente. Per servire al narcisismo della scienza. Tra me e mio marito si metteva di mezzo questo meccanismo e noi ne diventavamo vittime, per di più estranei l'una all'altro”. (Dominique Grange, "L'enfant derrière a vitre", Parigi 1987).
Intervista a p. Angelo Serra, professore emerito di Genetica medica all’Università Cattolica di Roma
In Italia sono 50 mila le coppie che ogni anno si accorgono di essere sterili. Alla base delle pratiche di fecondazione artificiale c'è proprio la volontà di soddisfare il desiderio di avere un figlio.
«Senza dubbio queste costituiscono il gruppo principale tra le coppie che si avvicinano alla fecondazione artificiale, al quale però si aggiungono oggi famiglie a elevato rischio di avere figli colpiti da gravi malattie genetiche, coppie omosessuali, coppie di conviventi e anche single. Sono tutte situazioni che meritano attenzione e comprensione. Ma, dopo 26 anni di applicazione di queste nuove tecnologie con le quali si vorrebbe andare incontro a questi desideri, per onestà e soprattutto per rispetto a queste coppie o persone desiderose di un figlio, e di un figlio sano, ci si deve chiedere quali sono gli aspetti scientifici di tali tecnologie e le manipolazioni che esse implicano, quali sono i risultati finora raggiunti e raggiungibili, e quali gli aspetti etici in esse implicati».
Perché lei parla di manipolazione degli embrioni a proposito delle tecniche che mirano a ottenere un figlio?
«L'aspetto scientifico principale è la produzione di un embrione umano, come si erano prodotti e si producono oggi embrioni di animali. Produzione che implica: 1) un lungo ‑ per la donna, pesante, snervante e talvolta anche rischioso ‑ processo di iperovulazione farmacologicamente indotta, che modifica totalmente il ciclo naturale della donna, al fine di ottenere ‑ contro ciò che avviene in natura ‑ un numero di ovuli sufficientemente elevato, per garantire il successo desiderato nelle ulteriori fasi; 2) un processo di raccolta e di opportuna preparazione degli spermatozoi o di spermatidi per la fecondazione; 3) la fecondazione in vitro di singoli ovuli che, tenuti a opportuna temperatura in termostato in adatti terreni di coltura, inizieranno il processo dello sviluppo embrionale; 4) selezione, a stadi prestabiliti secondo i protocolli di ogni centro, degli embrioni che appaiono più promettenti; 5) consegna di questi ai ginecologi per il trasferimento in utero. E’ questo il "processo di produzione" degli embrioni umani, detto comunemente Fivet (sigla inglese che significa Fecondazione In Vitro e Trasferimento dell'Embrione) che può assumere modalità diverse, ma con risultati sostanzialmente identici».
Quali sono i risultati di questo lungo processo attuato ormai da migliaia di cliniche della fertilità in tutto il mondo?
«Lo scopo inteso di tutto questo impegno scientifico e tecnologico sarebbe il "figlio in braccio". Ma questo risultato lo possono godere - spesso dopo ripetuti tentativi e in centri particolarmente dotati - circa 17‑20 donne su cento, le quali non di rado vedranno conseguenze patologiche nei figli stessi che hanno ottenuto. Circa 80 donne su cento, oltre a non avere il figlio desiderato anche dopo numerosi tentativi subiscono, tentando la Fivet, un grave danno fisico, psichico ed economico. Danno accompagnato ‑ forse inconsapevolmente da parte di tante di esse ma consapevolmente da parte di chi la offre ‑ da una "uccisione programmata”, anche per chi riesce ad avere il figlio, di una gran parte degli embrioni prodotti, che hanno essi pure la dignità di soggetti umani e il diritto alla propria vita. Penso che non si possa negare che ci troviamo in una situazione in cui viene calpestata la prima regola della deontologia medica: "primum, non nocere"».
Come si giustifica, dal punto di vista scientifico e normativo, la manipolazione di un essere umano, seppure ai primissimi stadi dell'esistenza?
«La giustificazione fu elaborata in due tempi. Il primo tempo risale al 1984 quando il Comitato Warnock, incaricato dal governo inglese di affrontare il grave problema della fecondazione in vitro, sotto la pressione di scienziati e tecnologi propose come giustificazione della ricerca sugli embrioni, pur riconoscendoli veri soggetti umani, la speranza che essa avrebbe favorito grandi progressi nella nuova tecnica della Fivet. Il secondo tempo, che prese il sopravvento, risale al 1987, quando Anne McLaren, esperta di embriologia del topo, in contraddizione con quanto l'embriologia aveva insegnato fino allora e introducendo un falso scientifico, propagò l'idea che l'embrione umano fino al 14esimo giorno del suo sviluppo non è propriamente un individuo umano, ma soltanto un “pre‑embrione”. Esso poteva così essere sottratto alle norme fondamentali della ricerca biomedica sugli esseri umani, emanate da Codici e Dichiarazioni Internazionali, a partire dal Codice di Norimberga del 1947, fino ad arrivare alle "Direttive etiche internazionali per la ricerca biomedica condotta su soggetti umani" del 1993».
Che risvolti ci sono per la società da tali pratiche?
«La società sta risentendo notevolmente di una nuova cultura sull’Uomo e sui suoi poteri. Cultura che, dati i progressi e le mete raggiunte negli ultimi cinquant'anni attraverso la scienza e la tecnologia, conduce a eclissare la cultura umanistica e a negare i valori più fondamentali di una ordinata società umana, aprendo così la via a un nichilismo distruttivo, radice di ogni disordine.
Per questa cultura, detta la "terza cultura”, Dio non esiste, l'Uomo è al culmine evolutivo ma non ha nulla di più degli animali, (l’etica e le norme di comportamento cambiano con l’evolversi della società e sono un fatto personale. Su tali basi, prima a crollare è la famiglia, cellula della società, seguita per conseguenza da una seria patologia che sta investendo tutta la società».
È possibile non arrestare il progresso scientifico senza nello stesso tempo trascurare la dignità dell'uomo?
«Il progresso scientifico non si deve arrestare. E’ un dovere porre l’intelligenza, attraverso la quale si arricchisce il sapere, a servizio dell'uomo e di tutti gli uomini. Ma il "servizio" richiede "responsabilità"; e la responsabilità può esigere dei limiti. La prima responsabilità è il rispetto dell'uomo, della sua dignità, dei suoi diritti. Sono proprio questi, dignità e diritti, che vengono lesi nella “riproduzione tecnicamente assistita” che implica la produzione e la manipolazione di embrioni in vitro».