Fai ciò che vuoi...
di Carlo Climati (Mensile Il Timone)
Negli ultimi mesi, i mezzi di comunicazione hanno dato grande risalto al
problema delle "morti in discoteca", legate al consumo dell' ecstasy,
di alcolici e di altri tipi di droghe. Alcuni ragazzi hanno perso la vita
durante una semplice serata trascorsa in un locale, dove si erano recati per
divertirsi e ballare insieme agli amici.
Tutto questo dovrebbe spingerci a riflettere. Che cosa significa
"divertirsi" ? La musica, il ballo, le discoteche possono davvero
diventare degli strumenti di morte? Oggi la droga, gli alcolici, il sesso
sfrenato accompagnano liberamente quelle che, un tempo, erano le normali
parentesi di divertimento dei giovani. Ma come si è arrivati a questo punto?
Innanzitutto, bisogna chiarire un concetto fondamentale. La musica moderna si può
considerare un grande "spot pubblicitario", capace di raggiungere il
cuore di milioni di persone. I suoi messaggi sono facilmente in grado di
influenzare le mode, i pensieri, i comportamenti della gente.
Il concetto-chiave che accomuna le trasgressioni musicali di oggi è uno solo:
"Fai ciò che vuoi". Un invito a vivere senza regole, senza limiti,
senza rispetto per se stessi e per gli altri. È la grande presunzione dell'uomo
che vuole mettersi al posto di Dio e diventare Dio di se stesso, seguendo le
leggi che più gli fanno comodo e cercando di soddisfare il proprio, egoistico
piacere. È lo stesso peccato di Adamo ed Èva, che caddero nella trappola del
serpente che li invitava a diventare delle divinità.
"Fai ciò che vuoi" era anche il motto dell'occultista inglese
Aleister Crowley (1875 -1947), che può essere considerato il "padre del
satanismo moderno". Questo stregone, nel suo "Liber Oz", dichiarò:
"Non c'è altro Dio che l'uomo. L'uomo ha diritto di vivere secondo la sua
stessa legge". Di conseguenza, tutto diventa lecito.
Il mondo del rock, che fin dagli anni sessanta era assetato di trasgressioni,
adottò Aleister Crowley e ne subì spesso l'influenza. Troviamo il suo volto,
ad esempio, sulla copertina del disco dei Beatles "Sergeant Pepper's Lonely
Hearts Club Band" (1967). I Beatles, ovviamente, non possono essere
considerati dei "satanisti". Tuttavia, non si può negare che alcuni
loro atteggiamenti trasgressivi (i primi, timidi accenni alla droga)
rappresentarono l'inizio di una rivoluzione che sarebbe diventata, a poco a
poco, sempre più grande. È interessante notare che questo processo
rivoluzionario di morte (musica più droga) ha spesso utilizzato linguaggi dolci
e seducenti per ingannare le persone. Pensiamo, ad esempio, al soave slogan
"Pace, amore e musica", che accompagnò nell'agosto 1969 il grande
raduno musicale di Woodstock.
In realtà, questo megaconcerto non fu altro che la celebrazione della droga e
del sesso libero, nascosto dietro la maschera rassicurante del pacifismo e dei
"figli dei fiori". Non è cambiato nulla da allora. I Woodstock di
oggi si chiamano "rave" (parola inglese che significa
"delirio"). Ovvero, i grandi raduni che estremizzano il linguaggio
delle discoteche: musica assordante, ritmi martellanti, impossibilità di
comunicazione, ballo senza sosta, messaggi sessuali liberi e, ovviamente,
consumo di droga ed alcolici. I mass media gridano allo scandalo quando un
giovane muore dopo aver ingerito una pastiglia di ecstasy. La gente è colta di
sorpresa di fronte allo stridente contrasto tra l'idea del divertimento e quella
della morte. In realtà, c'è ben poco da sorprendersi. Se analizziamo i
biglietti d'invito che vengono offerti ai giovani per pubblicizzare le feste in
discoteca o i "rave", possiamo già trovare dei chiarissimi messaggi
di trasgressione, sia visivi che verbali. Questi biglietti d'invito sono lo
specchio di ciò che i ragazzi troveranno dopo aver varcato la soglia del locale
che viene pubblicizzato. E allora, perchè meravigliarsi se un certo tipo
d'ambiente diventa la cornice ideale per il consumo delle droghe di oggi ? I
nuovi profeti del "Fai ciò che vuoi" hanno trovato nelle discoteche
un terreno fertile per diffondere i propri ideali di vita spericolata, senza
regole nè confini. L'atteggiamento del cristiano di fronte al divertimento dev'essere,
invece, ben diverso e non può non tenere conto del valore della temperanza e
del rispetto del nostro corpo come "tempio dello Spirito Santo" (1
Corinzi 6/ 19). "L'intemperanza", scriveva San Tommaso d'Aquino
"ripugna sommariamente alla nobiltà e al decoro, in quanto nei piaceri
riguardanti l'intemperanza viene offuscata la luce della ragione, dalla quale
deriva tutta la nobiltà e la bellezza della virtù". Per questo,
nell'epoca del "Fai ciò che vuoi" siamo tutti chiamati a remare
controcorrente e a riscoprire quella "cultura del limite" che ha
sempre caratterizzato le grandi civiltà. Solo così potremo rispondere
positivamente all'invito di San Paolo: "II Dio della pace vi santifichi
fino alla perfezione. E tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si
conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo" (1
Tess 5, 23).