PRETI PEDOFILI: LA CHIESA NON HA PAURA
DELLA VERITA’
Don Di Noto: «Pochissimi i sacerdoti
condannati» «La Chiesa ha sempre collaborato con le forze dell'ordine. Nei
vescovi ho trovato ogni volta grande disponibilità» «In tivù saranno
ricordate le migliaia di religiosi che ai margini del mondo dedicano la
propria vita all'infanzia abbandonata?»
di Lucia Bellaspiga (Avvenire)
Il grido di centocinquanta milioni di bambini straziati dovrebbe spaccare la
Terra. Invece fa poco rumore, la pedofilia, quasi nulla rispetto alla
devastazione che lascia dietro di sé: un olocausto bianco che non risparmia
nemmeno più i neonati nei loro primi giorni di vita. La piaga, dalla parte
degli abusanti, non esclude nessuno: professionisti, medici, avvocati,
professori... Anche insospettabili padri di famiglia, i cui figli hanno la
stessa età dei bambini che loro comprano nei bordelli della Cambogia o di
Cuba, usano e poi lasciano lì per il vizio di altri ricchi clienti: avanti
il prossimo. Fa troppo poco rumore, la pedofilia. Tant'è che tutto questo
può avvenire, e alla luce del sole: basta "cliccare" - come si dice - in
Internet per avere accesso a ogni "servizio". E tra i siti ce ne sono una
marea che apertamente - ma soprattutto impunemente - fanno apologia di reato
in nome di un aberrante "orgoglio pedofilo". È un crimine duro da debellare:
da una parte le raffinate tecniche informatiche corrono veloci (un sito
pedo-pornografico scompare nel giro di pochi minuti senza lasciare traccia,
e non conosce confini geografici), dall'altra il giro di miliardi crea una
rete internazionale organizzata e potente. È contro tutto questo che conduce
la sua guerra don Fortunato Di Noto, il "prete antipedofilia" partito da
Avola (Siracusa) per sferrare il suo attacco alle grandi lobby criminali:
oggi vive sotto scorta (e sotto minaccia), dopo aver scovato in 15 anni - e
denunciato alle polizie di tutto il mondo - 165mila portali pedopornografici.
Lei, un
sacerdote, con l'associazione "Meter" è ormai la bandiera della lotta alla
pedofilia. Come giudica le accusa alla Chiesa di proteggere i preti
pedofili?
La Chiesa non ha alcuna paura di dire
la verità: esistono anche preti pedofili, come esistono psichiatri pedofili,
avvocati pedofili, giornalisti pedofili, panettieri pedofili o magistrati
pedofili, ma non è che quindi tutta la magistratura è da mettere sotto
accusa. Il problema non è una categoria ma l'uomo: la pedofilia esiste e può
interessare abbienti o poveri, analfabeti o docenti universitari, in
bassissima percentuale persino le donne. Ma a fronte di rarissimi casi di
colpevolezza esistono invece centinaia di migliaia di suore e sacerdoti che
spendono la loro vita per l'infanzia abbandonata, ai margini del mondo.
La Rai,
per la trasmissione "Annozero" di Santoro, ha comprato un video dalla Bbc
interamente ed esclusivamente dedicato ai preti pedofili: un modo
discutibile di fare informazione...
A Santoro, attraverso la stampa, ho ricordato che la pedofilia non è
un talk show da salotto ma qualcosa di terribile. Perché non fa un lavoro
serio e non denuncia le potenti lobby pedocriminali sparse nel mondo? Gli do
io le liste con tutti i nomi, e gliele do gratis, non ai prezzi della Bbc...
Un'inchiesta vera deve colpire il problema al cuore, non basta occuparsi di
una marginale minoranza: lo dice uno che alle autorità ha segnalato anche
alcuni preti pedofili.
Che spessore ha realmente il fenomeno?
I dati ufficiali del Viminale
parlano chiaro: il 30% degli abusanti sono conoscenti o partner occasionali
della madre, il 19% familiari, poi vengono gli extrafamiliari: operatori
della scuola, educatori dei circoli ricreativi, allenatori, eccetera, e solo
in coda, per l'1%, sacerdoti o catechisti. In 20 anni le denunce in Italia a
sacerdoti presunti pedofili sono una quarantina, di cui oltre la metà poi
risultati innocenti. Se consideriamo che in Italia ci sono 40mila preti e
che quasi tutti si occupano di accoglienza minori, di immigrazione
giovanile, case famiglia, orfani, si capisce quanto il fenomeno sia
percentualmente irrilevante...
Non lo è, però, dal punto di vista
morale: da un religioso si pretende molto di più che da un laico. E quando
sbaglia, a noi laici fa più impressione.
Quando ad abusare di un minore è un
rappresentante della Chiesa, il crimine è ancora più orrendo perché in
contrasto con la missione di chi dovrebbe agire in persona Christi,
quindi va condannato senza riserve. Ma questi pochi casi - io ne ho
incontrati tre su decine di migliaia di pedofili, e sempre ho trovato piena
collaborazione dai vescovi - non devono far dimenticare la stragrande
maggioranza di religiosi impegnati con dedizione nel mondo, spesso a costo
della stessa vita. Ogni anno decine di missionari vengono trucidati perché
proteggono le frange più deboli e indifese delle popolazioni, di questi però
Santoro non parla mai. Così come del reale problema...
Quello della
pedocriminalità.
Che è l'altra faccia della pedofilia:
in Italia l'anno scorso sono scomparsi 1.698 bambini, dati della Polizia di
Stato. E nel mondo 2 milioni di bambini ogni anno sono sfruttati a fini
pedopornografici on-line. Per non parlare dei 380mila volti di piccoli
entrati nel data-base delle Polizie e che nessuno sa rintracciare e salvare.
L'accusa alla Chiesa è di voler insabbiare. Qual è
la sua esperienza al proposito?
La Chiesa ha sempre collaborato con le
forze dell'ordine, anche nel recente orrendo caso di don Dessì, condannato a
12 anni di carcere. Però qualsiasi indagato ha diritto alla presunzione di
innocenza finché non c'è una condanna, e un prete non fa eccezione. Comunque
tutti i sacerdoti denunciati hanno sempre avuto il loro processo e, se
condannati, sono stati sospesi a divinis e restituiti al laicato: è
la Chiesa la prima a non poter accettare un crimine tanto disumano. Ma
ricordo anche il calvario di preti ingiustamente accusati e riabilitati dopo
immani sofferenze: don Govoni fu prosciolto quando ormai era morto di
crepacuore. C'è invece un'altra realtà molto preoccupante: il dilagare di un
ingiustificato e violento attacco alla Chiesa cattolica, ad esempio sui
banner pubblicitari dei siti Internet, del tipo "tenete lontani i vostri
figli dai preti...". Una pseudo-cultura senza alcun fondamento: chi fa
quelle vignette non ha mai visto, come ho visto io, le vittime degli abusi,
forse non sa che cosa vuol dire un piccolo violato a dieci giorni, una
bambina lacerata per tutta la vita, se no non si metterebbe a giocare ma
lavorerebbe con noi. Santoro lo sa che gli sportelli "Meter", che danno
assistenza alle vittime, sono sostenuti dalla Cei?
Il
video della Bbc è molto parziale, dunque inattendibile. Eppure è stato
comprato, e con i soldi del contribuente...
Io non so quanto è stato pagato, ma con quei soldi la Rai poteva aiutare i
centri in cui si recuperano le migliaia di bambini asiatici abusati dai
turisti del sesso italiani. Quel video mostra un documento del 1962. Dico
1962: un documento «superato» nel 1983 e poi seguito da una serie di grandi
evoluzioni, tra cui il discorso di Papa Wojtyla ai vescovi americani in cui
parla senza mezzi termini di "crimini contro l'umanità", o il severissimo
monito di Papa Ratzinger, che tra l'altro ha prolungato fino ai 28 anni di
età della vittima il termine di prescrizione nella giustizia
ecclesiastica...
Per lo Stato, invece, dopo 10
anni dall'abuso sul minore c'è la prescrizione: la si fa franca.
Appunto. La Chiesa è molto più severa.
Preti pedofili, le falsità del video
Bbc
Si confondono ad arte diritto canonico
e procedimenti penali Viene presentato come «riservato» un documento del
tutto pubblico. E si cerca di contrapporre Giovanni Paolo II a Ratzinger
di Massimo
Introvigne (Avvenire)
Solo la rabbia laicista spiega perché,
subito all'improvviso il documentario dell'ottobre 2006 della Bbc «Sex
Crimes and the Vatican» abbia cominciato a circolare su Internet con
sottotitoli italiani, e i vari Santoro abbiano cominciato ad agitarsi. Il
documentario, infatti, è merce avariata: quando uscì fu subito fatto a pezzi
dagli specialisti di diritto canonico, in quanto confonde diritto della
Chiesa e diritto dello Stato. La Chiesa ha anche un suo diritto penale, che
si occupa tra l'altro delle infrazioni commesse da sacerdoti e delle
relative sanzioni, dalla sospensione a divinis alla scomunica. Queste pene
non c'entrano con lo Stato, anche se potrà capitare che un sacerdote
colpevole di un delitto che cade anche sotto le leggi civili sia giudicato
due volte: dalla Chiesa, che lo ridurrà allo stato laicale, e dallo Stato,
che lo metterà in prigione.
Il 30 aprile 2001 Papa Giovanni Paolo II (1920-2005) pubblica la lettera
apostolica Sacramentorum sanctitatis tutela, con una serie di norme
su quali processi penali canonici siano riservati alla giurisdizione della
Congregazione per la dottrina della fede e quali ad altri tribunali vaticani
o diocesani. La lettera De delictis gravioribus, firmata dal
cardinale Joseph Ratzinger come prefetto della Congregazione per la dottrina
della fede il 18 maggio 2001 - quella presentata dalla Bbc come un documento
segreto, mentre fu subito pubblicata sul bollettino ufficiale della Santa
Sede e figura sul sito Internet del Vaticano - costituisce il regolamento di
esecuzione delle norme fissate da Giovanni Paolo II. Il documentario al
riguardo afferma tre volte il falso:
(a) presenta come segreto un documento
del tutto pubblico e palese:
(b) dal momento che il "cattivo" del documentario dev'essere l'attuale
Pontefice, Benedetto XVI (per i laicisti il Papa "buono" è sempre quello
morto), non spiega che la De delictis gravioribus firmata dall'allora
cardinale Joseph Ratzinger come prefetto della Congregazione per la dottrina
della fede il 18 maggio 2001 ha l'unico scopo di dare esecuzione pratica
alle norme promulgate con la lettera apostolica Sacramentorum sanctitatis
tutela, del precedente 30 aprile, che è di Giovanni Paolo II;
(c) lascia intendere al telespettatore
sprovveduto che quando la Chiesa afferma che i processi relativi a certi
delicta graviora («crimini più gravi»), tra cui alcuni di natura
sessuale, sono riservati alla giurisdizione della Congregazione per la
dottrina della fede, intende con questo dare istruzione ai vescovi di
sottrarli alla giurisdizione dello Stato e tenerli nascosti. Al contrario, è
del tutto evidente che questi documenti si occupano del problema, una volta
instaurato un giudizio ecclesiastico, a norma del diritto canonico, a chi
spetti la competenza fra Congregazione per la dottrina della fede, che in
questi casi agisce «in qualità di tribunale apostolico» (così la
Sacramentorum sanctitatis tutela), e altri tribunali ecclesiastici.
Questi documenti, invece, non si occupano affatto - né potrebbero, vista la
loro natura, farlo - delle denunzie e dei provvedimenti dei tribunali civili
degli Stati.
A chiunque conosca, anche minimamente,
il funzionamento della Chiesa cattolica è evidente che quando i due
documenti scrivono che «questi delitti sono riservati alla competenza
esclusiva della Congregazione per la dottrina della fede» la parola
«esclusiva» significa «che esclude la competenza di altri tribunali
ecclesiastici» e non - come vuole far credere il documentario - «che esclude
la competenza dei tribunali degli Stati, a cui terremo nascoste queste
vicende anche qualora si tratti di delitti previsti e puniti delle leggi
dello Stato». Non è in questione questo o quell'episodio concreto di
conflitti fra Chiesa e Stati. Le due lettere dichiarano fin dall'inizio la
loro portata e il loro ambito, che è quello di regolare questioni di
competenza all'interno dell'ordinamento giuridico canonico. L'ordinamento
giuridico degli Stati, semplicemente, non c'entra.
Nella nota 3 della lettera della Congregazione per la
dottrina della fede - ma per la verità anche nel testo della precedente
lettera di Giovanni Paolo II - si cita l'istruzione Crimen
sollicitationis emanata dalla Congregazione per la dottrina della fede,
che allora si chiamava Sant'Uffizio, il 16 marzo 1962, durante il
pontificato del Beato Giovanni XXIII (1881-1963), ben prima che alla
Congregazione arrivasse lo stesso Ratzinger (che quindi, com'è ovvio, con
l'istruzione non c'entra nulla; all'epoca faceva il professore di teologia
in Germania). Questa istruzione dimenticata, "scoperta" nel 2001 solo in
grazia dei nuovi documenti e oggi non più in vigore, non nasce per occuparsi
della pedofilia ma del vecchio problema dei sacerdoti che abusano del
sacramento della confessione per intessere relazioni sessuali con le loro
penitenti. È vero che dopo essersi occupata per i primi settanta paragrafi
del caso di donne penitenti che hanno una relazione sessuale con il
confessore, in quattro paragrafi, dal 70 al 74, la Crimen sollicitationis,
afferma l'applicabilità della stessa normativa al crimen pessimus,
cioè alla relazione sessuale di un sacerdote «con una persona dello stesso
sesso», e nel paragrafo 73 - per analogia con il crimen pessimus -
anche ai casi (quod Deus avertat, «che Dio ce ne scampi») in cui un
sacerdote dovesse avere relazioni con minori prepuberi (cum impuberibus).
Il paragrafo 73 del documento è l'unico mostrato nel documentario, il quale
lascia intendere che gli abusi sui bambini siano il tema principale del
documento, mentre il problema non era all'ordine del giorno nel 1962 e
l'istruzione gli dedica esattamente mezza riga. Clamorosa è poi la menzogna
del documentario quando afferma che la Crimen sollicitationis aveva
lo scopo di coprire gli abusi avvolgendoli in una coltre di segretezza tale
per cui «la pena per chi rompe il segreto è la scomunica immediata». È
precisamente il contrario: il paragrafo 16 impone alla vittima degli abusi
di «denunciarli entro un mese» sulla base di una normativa che risale del
resto al lontano anno 1741. Il paragrafo 17 estende l'obbligo di denuncia a
qualunque fedele cattolico che abbia «notizia certa» degli abusi. Il
paragrafo 18 precisa che chi non ottempera all'obbligo di denuncia dei
paragrafi 16 e 17 «incorre nella scomunica». Dunque non è scomunicato chi
denuncia gli abusi ma, al contrario, chi non li denuncia.
L'istruzione dispone pure che i relativi processi si svolgano a porte chiuse,
a tutela della riservatezza delle vittime, dei testimoni e anche degli
imputati, tanto più se eventualmente innocenti. Non si tratta evidentemente
dell'unico caso di processi a porte chiuse, né nell'ordinamento
ecclesiastico né in quelli statuali. Quanto al carattere "segreto" del
documento, menzionato nel testo, si tratta di un "segreto" giustificato
dalla delicatezza della materia ma molto relativo, dal momento che fu
trasmesso ai vescovi di tutto il mondo. Comunque sia, oggi il documento non
è più segreto, dal momento che - stimolati dalla lettura dei documenti del
2001 - avvocati in cause contro sacerdoti accusati di pedofilia negli Stati
Uniti ne chiesero alle diocesi il deposito negli atti di processi che sono
diventati pubblici. Quegli avvocati speravano di trovare nella Crimen
sollicitationis materiale per ampliare le loro già milionarie richieste
di risarcimento dei danni: ma non trovarono nulla. Infatti, nemmeno
l'istruzione Crimen sollicitationis riguarda in alcun modo la
questione se eventuali attività illecite messe in atto da sacerdoti tramite
l'abuso del sacramento della confessione debbano essere segnalate da chi ne
venga a conoscenza alle autorità civili.
Riguarda solo le questioni di procedura per il perseguimento di questi
delitti all'interno dell'ordinamento canonico, e al fine di irrogare
sanzioni canoniche ai sacerdoti colpevoli. Perfino Tom Doyle, un ex-cappellano
militare che appare nel documentario, ha affermato in una lettera, del 13
ottobre 2006, a John L. Allen, che è forse il più noto vaticanista degli
Stati Uniti, che «benché abbia lavorato come consulente per i produttori del
documentario, temo proprio che alcune distinzioni che ho fatto a proposito
del documento del 1962 siano andate perdute. Non credo né ho mai creduto che
quel documento sia la prova di un complotto esplicito, nel senso
convenzionale, orchestrato dai più alti responsabili del Vaticano per tenere
nascosti casi di abusi sessuali perpetrati dal clero». Tom Doyle rimane del
tutto ostile alla «cultura radicalmente sbagliata» che vede nella Chiesa di
Giovanni Paolo II e Benedetto XVI: ma anch'egli si rende conto che le tesi
del documentario sulla Crimen sollicitationis non sono sostenibili e
cerca prudentemente, sia pure con un linguaggio che resta ambiguo, di
prendere le distanze. Un altro inganno del documentario consiste nel
sostenere, a proposito della lettera De delictis gravioribus del 2001
sottoscritta dal cardinale Ratzinger, che si tratti del "seguito" della
Crimen sollicitationis, che «ribadiva con enfasi la segretezza, pena la
scomunica». In realtà, nella lettera del 2001 non si trova neppure una volta
la parola "scomunica". Si ribadisce, certo, che le procedure per i
delicta graviora sono «sottoposte al segreto pontificio», cioè devono
svolgersi a porte chiuse e in modo riservato. Ma in questo non vi è nulla di
nuovo, né il segreto si applica solo ai casi di abusi sessuali. Il
documentario, al riguardo, confonde maliziosamente sia a proposito della
De delictis gravioribus sia a proposito della Crimen sollicitationis
segretezza del processo e segretezza del delitto. Il delitto non è affatto
destinato a rimanere segreto, anzi se ne chiede la denuncia sotto pena di
scomunica; il processo è invece destinato a svolgersi in modo riservato, a
tutela - come accennato - di tutte le parti in causa. È questa segretezza
del processo che è tutelata con la minaccia di scomunica ai giudici, ai
funzionari e allo stesso accusato nei paragrafi 12 e 13 della Crimen
sollicitationis (quanto alle vittime e ai testi, prestano giuramento di
segretezza ma si prevede che «non siano sottoposti ad alcuna sanzione» salvo
provvedimenti specifici da parte dei giudici nei singoli casi). Se c'è
qualche cosa di nuovo nella De delictis gravioribus rispetto alla
disciplina precedente in tema di abusi sessuali, è il fatto che la lettera
crea una disciplina più severa per il caso di abuso di minori, rendendolo
perseguibile oltre i normali termini di prescrizione, fino a quando chi
dichiara di avere subito abusi quando era minorenne abbia compiuto i
ventotto anni (e non i diciotto, come alcuni hanno scritto: infatti il
termine è di dieci anni ma nel delitto perpetrato da un clericus con un
minore decurrere incipit a die quo minor duodevicesimum aetatis annum
explevit, cioè «inizia a decorrere nel giorno in cui il minore compie il
diciottesimo anno di età», e da questa data decorre per dieci anni,
arrivando così ai ventotto anni di età della vittima).
Questo significa - per fare un esempio molto concreto - che se un bambino di
quattro anni è vittima di abusi nel 2007, la prescrizione non scatterà fino
al 2031, il che mostra bene la volontà della Chiesa di perseguire questi
delitti anche molti anni dopo che si sono verificati e ben al di là dei
termini di prescrizione consueti. Con questa nuova disciplina la durezza
della Chiesa verso i sacerdoti accusati di pedofilia è molto cresciuta con
Benedetto XVI, come dimostrano casi dove, nel dubbio, Roma ha preferito
prendere provvedimenti cautelativi anche dove non c'erano prove di presunti
abusi che si asserivano avvenuti molti anni fa, e la stessa nomina del
cardinale americano William Joseph Levada, noto per la sua severità nei
confronti dei preti pedofili, a prefetto della Congregazione per la dottrina
della fede. Tutte queste norme riguardano, ancora una volta, il diritto
canonico, cioè le sospensioni e le scomuniche per i sacerdoti colpevoli di
abusi sessuali. Non c'entrano nulla con il diritto civile, o con il
principio generale secondo cui - fatto salvo il solo segreto della
confessione - chi nella Chiesa venga a conoscenza di un reato giustamente
punito dalle leggi dello Stato ha il dovere di denunciarlo alle autorità
competenti. Secondo il Catechismo della Chiesa cattolica, le autorità civili
hanno diritto alla «leale collaborazione dei cittadini» (n. 2238); «la frode
e altri sotterfugi mediante i quali alcuni si sottraggono alle imposizioni
della legge e alle prescrizioni del dovere sociale, vanno condannati con
fermezza, perché incompatibili con le esigenze della giustizia» (n. 1916).
L'obbligo di «leale collaborazione» con i poteri civili viene meno solo
quando i loro «precetti sono contrari alle esigenze dell'ordine morale, ai
diritti fondamentali delle persone o agli insegnamenti del Vangelo» (n.
2242): se questo limite non esistesse, se ne concluderebbe che il cittadino
cattolico doveva offrire la sua «leale collaborazione» anche al Terzo Reich
e denunciare alla Gestapo le violazioni delle leggi razziali di cui fosse
venuto a conoscenza. Dal momento, invece, che le leggi che tutelano i minori
dagli abusi non sono affatto contrarie alle «esigenze dell'ordine morale»,
nei loro confronti vige l'obbligo di «leale collaborazione» prescritto dal
Catechismo, e le «frodi e altri sotterfugi» con cui si cercasse di sottrarsi
a tali leggi sono «condannate con fermezza». Certo, in passato queste
indicazioni non sono sempre state rispettate (ma abusus non tollit usum).
Il legittimo desiderio di proteggere sacerdoti innocenti ingiustamente
calunniati (ce ne sono stati, e ce ne sono, molti) qualche volta è stato
confuso con un "buonismo" che ha ostacolato indagini legittime degli Stati.
Benedetto XVI ha più volte stigmatizzato ogni forma di buonismo sul tema (si
veda per esempio il discorso ai vescovi dell'Irlanda in visita ad limina
Apostolorum, del 28 ottobre 2006): e in realtà il trasferimento della
competenza dalle diocesi, dove i giudici spesso possono avere rapporti di
amicizia con gli accusati, a Roma mirava fin dall'inizio a garantire
maggiore rigore e severità.
A margine - ma non troppo - di questa controversia si devono menzionare due
luoghi comuni. Il primo è quello secondo cui la "colpa" della Chiesa è
quella di mantenere il celibato tra i sacerdoti di rito latino: sarebbe
appunto il celibato la causa almeno remota degli episodi di pedofilia. Il
secondo fa credere a molti che i preti pedofili siano «decine di migliaia».
Prima di discutere le statistiche sul punto, e le relative esagerazioni, si
deve essere chiari: anche un solo caso di pedofilia nel clero sarebbe un
caso di troppo, nei confronti del quale le autorità civili e religiose hanno
non solo il diritto ma il dovere di intervenire energicamente. Tuttavia,
stabilire quanti sono i preti e religiosi cattolici pedofili non è
irrilevante. Le tragedie individuali sono difficilmente descritte dalle
statistiche, ma il quadro statistico può aiutare a capire se si tratta di
casi isolati o di epidemie, e se c'è qualche cosa nello stile di vita del
clero cattolico che rende questi episodi più facili a verificarsi di quanto
non avvenga, per esempio, fra i pastori protestanti o fra i maestri di
scuola laici debitamente sposati. È proprio vero che si tratta di
un'epidemia dalle proporzioni ormai incontrollabili? Si legge spesso che la
Chiesa cattolica almeno in Nord America - dal momento che i casi denunciati,
ancorché non irrilevanti, sono in numero minore in Europa e altrove - ospita
una percentuale di pedofili elevata e unica rispetto a tutti i gruppi
religiosi dotati di ministri ordinati o di attività educative. Le
statistiche che sono fatte circolare spesso senza troppo preoccuparsi delle
fonti parlano di migliaia o anche di decine di migliaia di casi. Si è
sentito dire per esempio ripetutamente in talk show televisivi americani che
il cinque o il sei per cento dei preti statunitensi sono "pedofili". Alcuni
talk show studiati dall'illustre sociologo (non cattolico) Philip Jenkins in
due sue opere sul tema (la fondamentale Pedophiles
and Priests.
Anatomy of a Contemporary Crisis,
Oxford University Press, Oxford-New York, 1996; e Moral Panic. Changing
Concepts of the Child Molester in Modern America, Yale University Press,
New Haven-Londra, 1998; mentre in The New
Anti-Catholicism.
The
Last Acceptable Prejudice,
Oxford University Press, Oxford-New York, 2003, lo stesso autore studia il
contesto dell'anticattolicesimo, l'ultimo pregiudizio socialmente accettato,
come brodo di coltura in cui affermazioni palesemente false acquistano
l'apparenza della credibilità) hanno citato a ruota libera pseudo-statistiche
e cifre da cui emergerebbe che il numero dei "preti pedofili" americani è
superiore al numero totale di sacerdoti cattolici degli Stati Uniti. Almeno
queste statistiche sono certamente false, e devono insegnare a non prendere
per oro colato tutti i dati presentati come "statistici" o "scientifici" in
televisione. Negli ultimi trent'anni i casi di sacerdoti cattolici o
religiosi condannati per abusi sessuali su bambini negli Stati Uniti e in
Canada sono di poco superiori al centinaio. Un autore molto critico sul
punto nei confronti della Chiesa cattolica, il sociologo Anson D. Shupe (autore
di In the Name of All That's Holy.
A Theory of Clergy Malfeasance,
Praeger, Westport, 1995; Wolves within the Fold. Religious Leadership and
Abuses of Power, Rutgers University Press, New Brunswick-Londr,a 1998; e
- con William A. Stacey e Susan E. Darnell - Bad
Pastors.
Clergy Misconduct in Modern America,
New York University Press, New York-Londra, 2000), ha sostenuto che,
nell'ultimo trentennio del Ventesimo secolo, i casi di preti nordamericani
pedofili possano essere stati superiori al migliaio e raggiungere forse
alcune migliaia. Shupe ammette che le statistiche sono difficili perché, a
partire da poche condanne, occorre estrapolare e speculare sulla base di
sondaggi su quanti casi non arrivano alla condanna in quanto non sono
denunciati (il che peraltro, ammette l'autore, oggi avviene meno di ieri),
ovvero sono oggetto di transazioni fra le parti. Si deve anche chiarire che
non è corretto includere nelle statistiche sulla "pedofilia" i casi di
relazioni sessuali che coinvolgono, per esempio, un sacerdote venticinquenne
e una fedele minorenne di sedici o diciassette anni. Si tratta certamente di
un illecito canonico (in alcuni Paesi anche di un reato), che però non
corrisponde a nessuna definizione medica o legale di "pedofilia", che il più
diffuso manuale diagnostico e statistico utilizzato dagli psichiatri, il
DSM-IV, definisce come «attività sessuale ricorrente con bambini prepuberi».
Su tutta la materia delle statistiche è in corso un'accesa discussione: ma
in ogni caso siamo lontani dalle "decine di migliaia" di casi evocati dai
talk show.
Sulla base dei pochi dati certi e, molto di più, di quelli ipotetici si è
diffusa l'idea secondo cui responsabile del problema sia il celibato (o il
voto di castità dei religiosi), non più tollerabile nella società
contemporanea. Attivisti contro il celibato, a una riunione della Conferenza
episcopale degli Stati Uniti, protestavano per la presunta esplosione della
pedofilia in clergyman con slogan come «È la Chiesa il vero pedofilo». In
realtà, se si usano statistiche omogenee, cioè prodotte dagli stessi
ricercatori o istituti o con gli stessi criteri, si scopre che negli Stati
Uniti alcune denominazioni protestanti, ai cui ministri di culto non è
richiesto il celibato o che non hanno neppure una figura di "ministro"
ordinato, hanno percentuali di condannati e incriminati per pedofilia tra i
loro ministri o educatori (considerato il numero globale di pastori o
anziani delle loro congregazioni) non troppo dissimili da quelle della
Chiesa cattolica, e lo stesso vale per i maestri laici delle scuole
pubbliche e degli asili (naturalmente, anche in questi casi sono possibili
incriminazioni e accuse ingiuste). Se l'elemento decisivo fosse il celibato,
i ministri e pastori cui è permesso sposarsi - per tacere dei maestri laici
- dovrebbero avere percentuali di rischio decisamente minori rispetto alla
Chiesa cattolica. Jenkins nota poi un dato forse non politicamente corretto
ma fondamentale: oltre il novanta per cento delle condanne di sacerdoti
cattolici pedofili riguarda abusi su bambini (si noti la "i" finale) e non
su bambine. Dal momento dunque che si tratta, piaccia o no, di omosessuali e
che l'alternativa al celibato - salvo nuovi significati del termine, in
clima di Dico e di matrimoni omosessuali - consiste nello sposare una donna,
permettere ai sacerdoti di rito latino il matrimonio (eterosessuale) non
risolverebbe i loro casi.
È vero, sottolinea ancora la letteratura scientifica, che comunità religiose
più piccole o che non hanno una struttura gerarchica organizzata su base
nazionale - per esempio le denominazioni pentecostali - sono state
percentualmente meno coinvolte nel problema della pedofilia dei ministri e
pastori, anche se non sono mancati singoli incidenti clamorosi. Questo dato
fa riflettere sul fatto che decisivo non è il celibato: sono piuttosto
aspetti strutturali e economici. Da una parte, è possibile che un vero
pedofilo si "nasconda" meglio ed eluda più facilmente la vigilanza
all'interno di una grande struttura. Ma è anche vera che gli studi legali
specializzati in questo campo - che negli Stati Uniti non mancano - e le
grandi società di assicurazioni che spesso determinano l'esito delle cause (talora
preferendo pagare e alzare il premio della polizza, anche quando l'accusato
e presumibilmente innocente) attaccano più volentieri lo Stato, nel caso dei
maestri delle scuole pubbliche, ovvero la Chiesa cattolica a altre comunità
religiose con una organizzazione nazionale e gerarchica. Qui si può
attingere per i danni alle ricche casse delle diocesi, al di là delle
parrocchie, mentre nelle denominazioni più piccole o dove manca una
struttura gerarchica, e ogni comunità locale è indipendente, non si può
sperare di ottenere più di quanto è sufficiente a vuotare le casse, spesso
magre, di una congregazione locale. II fatto che fare causa alla Chiesa
cattolica chiedendo risarcimenti per le presunte molestie di preti "pedofili"
sia anche un potenziale buon affare nulla toglie, evidentemente, alla
gravità dei casi di pedofilia reali e accertati. Ma deve rendere vigilanti
nei confronti di casi montati ad arte o fasulli, tutt'altro che infrequenti
negli Stati Uniti e di cui qualche segnale fa temere l'"importazione" anche
in Italia. Un anticattolicesimo latente in settori importanti della società,
ambienti di assistenti sociali e terapisti convinti che tutto quanto i loro
pazienti o assistiti raccontano, specie se sono bambini, sia sempre e
necessariamente vero - molti episodi decisi dai tribunali mostrano che non
sempre è così: i bambini assorbono facilmente le idee dei loro terapisti, o
questi ultimi li incalzano e li confondono con domande suggestive - e una
mentalità per cui il celibato o i voti non sono politicamente corretti fanno
sì che accuse poi dimostrate come false in tribunale siano prese
inizialmente sul serio. Tutto questo, ripetiamolo ancora una volta, non nega
certamente la presenza di casi dolorosi, sulle cui cause la Chiesa
giustamente indaga e si interroga. Ci si può chiedere, per esempio, perché
proprio negli Stati Uniti - il Paese dove sono più forti la contestazione
nei confronti del Magistero in tema di morale sessuale e una certa
tolleranza dell'omosessualità anche da parte di teologi che insegnano nei
seminari - il problema dei preti pedofili, al di là delle esagerazioni
statistiche, sia più diffuso che in Europa. A costo di ripetere l'ovvio,
precisiamo subito che solo un folle sosterrebbe che tutti i sacerdoti
omosessuali, per non parlare degli omosessuali non sacerdoti, sono pedofili;
è invece un fatto statisticamente accertato che la maggior parte dei preti
pedofili condannati sono omosessuali. Da questo punto di vista l'apertura
del documentario con un pedofilo che parla di "bambine", al femminile, è a
sua volta fuorviante (e i sottotitoli in italiano della prima versione
diffusa via Internet aggiungono del loro, dal momento che mentre il
documentario inglese parla di «a former Catholic priest», cioè di un ex
prete cattolico, il sottotitolo presenta il poco simpatico pedofilo come «un
prete cattolico», dimenticando l'"ex", il che non è precisamente la stessa
cosa). La vigilanza in questo delicatissimo campo deve certamente continuare:
ma non può essere disgiunta da una parallela vigilanza contro forme di
disinformazione laicista e dall'esame attento di ogni singolo caso. Se per i
colpevoli in un campo come questo è giusto parlare di "tolleranza zero", la
severità non può essere disgiunta dalla ferma difesa di chi è ingiustamente
accusato, ricordando che ogni accusa, tanto più quando è grave e infamante,
deve essere adeguatamente provata. In ogni caso, le misure prese nell'ambito
del diritto canonico per perseguire i crimini di natura sessuale commessi
dal clero, e la denuncia dei responsabili alle autorità dello Stato,
costituiscono due vicende del tutto diverse. La confusione, intrattenuta ad
arte per gettare fango sul Papa, è solo frutto del pregiudiz