La grandezza dell'umilità

 

Ottenuta l'investitura da parte del Papa, andando per città e castelli, Francesco cominciò a predicare dappertutto, annunziando con fiducia il regno di Dio. Anche uomini di lettere e di cultura si stupivano della efficacia del suo parlare e di quella chiarezza di verità che il Santo non aveva appreso da maestri umani. Numerosi erano quelli che si assiepavano per vederlo e ascoltarlo, come uomo venuto da un altro mondo. Molti nobili e popolani, ecclesiastici e laici, spinti da ispirazione divina, presero a seguire le orme di Francesco e, abbandonate le preoccupazioni e vanità del mondo, si misero a vivere sotto la sua Regola.

 

Una volta, com'era suo costume, egli era intento a vegliare in preghiera, fisicamente lontano dai suoi fratelli. Verso mezzanotte, mentre i suoi compagni dormivano, un carro di mirabile splendore, sopra il quale era posto Francesco circondato da un globo di fuoco luminosissimo, entrò dalla porticina della dimora dei frati. A quella vista meravigliosa, si svegliarono stupefatti e avvertirono con pari intensità la chiarezza del cuore e quella del corpo, poiché, per virtù di quella luce mirabile, la coscienza di ciascuno fu nuda davanti alla coscienza di tutti gli altri. Compresero tutti che il Signore aveva fatto vedere loro Francesco trasfigurato a immagine del santo profeta Elia.

 

Frate Pacifico ebbe un’altra visione: gli apparvero molti troni vuoti nel cielo, e uno di essi più maestoso degli altri. Una voce poi gli rivelò che quei seggi appartenevano una volta agli angeli caduti dal cielo a causa della loro superbia. Ora erano destinati all’umile Francesco e ai suoi compagni. (FF 1463; 1344; 1570)

 

 

 

 

Messaggero di Pace

 

Ovunque andava Francesco annunziava il Vangelo della Pace. Arrivò un giorno ad Arezzo, mentre tutta la città era scossa da una guerra civile. Il servo di Dio venne ospitato nel borgo fuori città, e vide sopra di essa demoni esultanti, che incitavano i cittadini a distruggersi fra di loro. Chiamò frate Silvestro, uomo di Dio di grande semplicità, e gli comandò: «Va' alla porta del paese, e da parte di Dio Onnipotente comanda ai demoni che quanto prima escano dalla città». Il frate si affrettò ad obbedire, e dopo essersi rivolto a Dio con inno di lode, gridò davanti alla porta a gran voce: «Da parte di Dio e per ordine del nostro padre Francesco, andate lontano di qui, voi tutti diavoli!». La città ritrovò subito la pace e la concordia tra le famiglie.

 

Sul finire della sua vita, mentre giaceva malato, accadde che il vescovo di Assisi scomunicò il podestà della città e costui, per rappresaglia,  vietò a a tutta la popolazione di fare contratti con lui. A tal punto erano arrivati a odiarsi reciprocamente.
Francesco, fu preso da pietà per loro, soprattutto perché nessuno si interessava di ristabilire tra i due la pace. E disse ai suoi compagni: «Grande vergogna è per noi, servi di Dio, che il vescovo e il podestà si odino talmente l'un l'altro, e nessuno si prenda pena di rimetterli in pace e concordia». Compose allora questa strofa, da aggiungere alle Laudi: «Laudato si, mi Signore, per quelli che perdonano per lo tuo amore e sostengono infermità e tribolazione. Beati quelli che le sosteranno in pace: da te, Altissimo, saranno coronati». Poi fece chiamare i due contendenti e davanti a loro i frati intonarono il Cantico di Frate Sole. Il podestà si levò subito in piedi, e, pieno di viva devozione, tutto in lacrime, stette ad ascoltare attentamente. Egli aveva infatti molta venerazione per Francesco. Finito il Cantico, il podestà disse davanti a tutti i convenuti: «Vi dico in verità, che non solo a messer vescovo, che devo considerare mio signore, ma sarei disposto a perdonare anche a chi mi avesse assassinato il fratello o il figlio». Poi si gettò ai piedi del vescovo, dicendogli: «Per amore del Signore nostro Gesù Cristo e del suo servo Francesco, eccomi pronto a soddisfarvi in tutto, come a voi piacerà».
Il vescovo lo prese fra le braccia, si alzò e gli rispose: «Per la carica che ricopro dovrei essere umile. Purtroppo ho un temperamento portato all'ira. Ti prego di perdonarmi». E così i due si abbracciarono e baciarono con affetto. (FF 695; 1593)