Alla scuola di Tommaso e del Pievano Arlotto

La sua istruzione si svolse nella scuola pubblica, dove ricevette un insegnamento del latino sufficiente per poter leggere agevolmente la Sacra Scrittura e i Padri della Chiesa. Ma la vera formazione spirituale Filippo la ebbe tra le stanze e i chiostri del Convento domenicano di San Marco, dove era ancora vivo l’ardore mistico e il rigore di vita del Savonarola, temperato dalla placida bellezza dei dipinti del Beato Angelico. Qui inizierà a conoscere l’amata Summa Teologica di san Tommaso d’Aquino, che non smetterà mai di leggere per tutta la vita, insieme però alle Facezie del Pievano Arlotto, libro che non è certo da annoverare tra le opere di teologia ma tra i classici dell’umorismo! Arlotto Mainardi era un parroco vissuto il secolo prima a Fiesole. Aveva viaggiato molto, facendo esperienze curiose e simpatiche. Si recava spesso a Firenze a trovare gli amici, con i quali passava il tempo intrattenendoli con le sue storielle. Il vescovo di Firenze si insospettì del clamore causato dal Pievano e ordinò un’inchiesta sulla vita del sacerdote. Il risultato fu la piena assoluzione: Arlotto era la bontà in persona e tutti coloro che avevano bisogno non tornavano da lui a mani vuote. Conquistava la gente con il sorriso e con la sua ilarità riportava la pace grazie a una risata liberatoria. Filippo imparerà molto dal Pievano e userà l’umorismo allo stesso modo: non per deridere o insultare, ma per correggere benevolmente i fratelli, invitandoli a ridere saggiamente dei propri difetti.

Un altro amore del giovane Filippo fu quello per le Laudi di Jacopone da Todi. Questo poema, scritto per la maggior parte in dialetto umbro, era un messaggio mistico facilmente accessibile al popolo, carico di sentimento e di spiritualità. Il Santo, quando avrà avviato a Roma l’Oratorio, lo farà musicare e cantare dai suoi discepoli.

Firenze rimarrà sempre nel cuore del Santo, sebbene diventato romano di adozione dopo sessant’anni di vita nella “Città Eterna”: Siccome egli era fiorentino, così haveva caro che gli altri sapessero ch’ei fusse”. Ricorderà con nostalgia il periodo trascorso alla scuola dei domenicani e dirà spesso che tutto ciò che aveva imparato di buono l’aveva appreso dai frati di San Marco. Del fiorentino rimase sempre in Filippo la natura, su cui lo Spirito di Dio poggiò le sue ali. Ha ragione il  Papini a dire: “Lo chiamino pure l’Apostolo di Roma e lo venerino come santo universale, ma sta il fatto che egli deve la sua originalità all’impronta incancellabile della sua nascita fiorentina. Nessun santo ha riso e fatto ridere al par di lui e a nessun santo, come a lui, si può applicare la famosa definizione dantesca “fiorentino spirito bizzarro”. San Filippo, insomma, è un ragazzo fiorentino che s’è innalzato fino ai vertici della santità, rimanendo in parte quel che era, cioè fanciullo e faceto”.