LA SCOMODA EREDITÀ DI VLADIMIR SOLOVIEV

Natalino Valentini

Guardando le foto che ci restano di Vladimir Soloviev si resta come catturati dalla potenza espressiva del suo volto, che ricorda quello delle icone di Giovanni Battista, l’intensità del suo sguardo ispirato con pupille dilatate che contemplano altri mondi, i capelli fluenti molto brizzolati e a larghe onde che si confondono con la folta e morbida barba, la fronte possente, il corpo alto e ricurvo con lunghe braccia e mani sottili, l’aspetto dimesso di chi affaticato dalle sfide della vita, sembra rapito soltanto dal suo mistero. 
Il poeta russo Aleksandr Blok lo definì il “cavaliere monaco”, e infatti l’insieme della sua esistenza delinea i contorni inconsueti di un mistico asceta, che visse in semplicità e generosa gratuità ogni istante della sua vita. Il vescovo cattolico Strossmayer, che per un certo periodo frequentò assiduamente il filosofo, si spinse fino a definirlo “anima candida, pia ac vere sancta est”. Soloviev si presenta con le caratteristiche tipicamente russe del vero “pellegrino dello spirito”, e come ha giustamente osservato uno dei suoi primi biografi e suo discepolo, il principe filosofo Evgenij Trubeckoj: “con la sua immagine spirituale, ed anche fisica, ricordava il tipo del pellegrino che cerca la Gerusalemme celeste e per questo erra per tutta l’immensa vastità della terra, venera e visita tutti i luoghi sacri, ma non si ferma a lungo in nessuna dimora terrena”. Egli infatti non aveva una vera e propria casa, viveva ora in albergo, ora in monasteri o presso amici, distribuendo sempre ogni suo avere. Il legame con questa ricca tradizione culturale e spirituale russa del pellegrinaggio (dello strannicestvo), in Soloviev è accentuato anche da significativi tratti autobiografici, in particolare il legame di parentela, da parte materna, con il primo grande “filosofo pellegrino” e “Socrate russo”, il pensatore ucraino Grigorij S. Skovoroda (1722-1794), mentre dal padre Serghej, uno dei più importanti storici della Russia, ereditò soprattutto il rigore metodologico e critico. Soloviev seppe incarnare in modo prodigioso vita ascetica e rigore teoretico, esperienza del dono, semplicità di vita e profondità di pensiero. Anche per questo oggi riavvicinandoci alla sua vastissima Opera che si compone di dodici volumi, più i quattro delle Lettere, avvertiamo immediatamente tutta la portata universale della sua produzione filosofica, e al contempo un senso di stupore di fronte al prodigio della sua concreta realizzazione, compiuta in appena venticinque anni, e in quelle condizioni di vita peregrinante.


Figura complessa ed enigmatica
Ad un secolo esatto dalla sua morte, soltanto in questi ultimi tempi la voce di Vladimir Soloviev risuona con più acuta intensità profetica anche nella cultura occidentale, che da tempo l’aveva azzittita perché troppo scomoda e insidiosa, liquidando sbrigativamente e sommariamente ogni traccia del suo pensiero quale ingombrante misticismo. Oggi che un nuovo sguardo, più trasparente e disincantato, sembra aprirsi verso il pensiero russo del secolo scorso, l’opera di Soloviev ci appare come uno dei più significativi ed arditi sistemi filosofici fioriti nella storia del pensiero dell’Europa orientale, in gran parte ancora da scoprire. 
Le sue idee hanno avuto un influsso decisivo, determinando in gran parte quella straordinaria fioritura culturale, denominata generalmente come l’“età d’argento”, tra fine Ottocento e inizio Novecento. Le principali figure del pensiero filosofico e teologico del XX secolo riconobbero infatti in Soloviev il loro maestro, così pure i grandi protagonisti del simbolismo russo. Alcuni grandi protagonisti della teologia del Novecento in Occidente, quali Hans Urs von Balthasar, si sono confrontati attentamente con l’opera di Soloviev, giungendo persino a definirla “la creazione speculativa più universale dell’epoca moderna …, incontestabilmente la più profonda giustificazione e la più vasta filosofia di tutto il cristianesimo dei tempi nuovi”, tuttavia queste restano comunque esperienze conoscitive episodiche e marginali. 
In realtà, come ha colto acutamente Berdjaev, Soloviev resta una delle figure più complesse ed enigmatiche della cultura russa del XIX secolo, un filosofo rigoroso e creativo che ha osato indagare i molteplici e misteriosi legami che congiungono il pensiero logico e gnoseologico all’esperienza mistica, la filosofia alla poesia, le forme della ragione a quelle del simbolo. Anche per questo il suo sistema di pensiero può essere giustamente considerato come “l’accordo più sonoro che sia mai risuonato nella storia della filosofia” (S. Bulgakov). Un sistema organico, che abbandona per sempre i limiti della pubblicistica, nel quale si congiungono mirabilmente “universalismo” e “sintesi”, l’acutezza e la forza del pensiero ad uno stile terso e artisticamente espressivo. 
In Soloviev, per la prima volta, trova un suo superamento il contrasto storico tra slavofilismo e occidentalismo, tra razionalità occidentale e contemplazione orientale, e il carattere universale del suo pensiero mai nasconde il suo radicamento nella cultura e nella tradizione spirituale russa ortodossa, il profondo legame all’esperienza esicasta e alla filocalia e non soltanto in senso spirituale, ma anche teoretico. Una delle sue preoccupazioni filosofiche più acute è stata proprio di illuminare con l’esperienza mistica la razionalità occidentale, attingendo alle fonti bibliche e patristiche orientali della sapienza del cuore. Tra le diverse esperienze formative che esercitarono sul giovane pensatore russo una maggiore influenza vanno ricordate certamente le lezioni del suo maestro Panfil D. Jurkevic, una delle prime voci dell’ideal-realismo concreto che hanno richiamato con particolare vigore l’idea di una conoscenza integrale fondata sul cuore quale fulcro dell’integrità spirituale della persona, sede di tutti gli atti conoscitivi dell’anima. Lungo questa prospettiva slavo-ortodossa cresce l’interesse per il pensiero di Kireevskij e Chomjakov. Nel contempo egli studiava con intensità e attenzione i grandi protagonisti del pensiero occidentale moderno, Spinoza, Kant, Schopenhauer, Fichte, Hartman, Hegel, von Baader e in particolare Schelling, ma la fonte principale della sua meditazione resta Platone.


L’insonne ricerca di una nuova coscienza cristiana
Ad appena ventidue anni, dopo aver attraversato una drammatica crisi spirituale, e dopo il superamento dell’infatuazione per il nichilismo, portati a termine gli studi alla facoltà di lettere dell’Università di Mosca, e appena iniziati quelli all’Accademia Teologica, ottiene la cattedra con la sua tesi magistrale La crisi della filosofia occidentale: contro i positivisti, un lavoro che suscitò stupore e vivo interesse, soprattutto per la vastità e il rigore delle sue conoscenze. Dopo alcuni viaggi a Londra e in Egitto, durante i quali Soloviev ebbe delle straordinarie rivelazioni sofiologiche, nel 1877 si trasferì a San Pietroburgo, dove pubblicò l’opera Principi filosofici del sapere integrale e la sua tesi di dottorato, Critica dei principi astratti, nella quale mostra come la metafisica, la teologia, la scienza e le teorie sociali, sono del tutto inadeguate, se colte singolarmente e separatamente, alla crescita di una conoscenza spirituale, ma questa diventa possibile solo passando dai principi astratti a una conoscenza integrale. Già in queste prime opere risalta la tendenza a ripudiare ogni forma di astrazione concettuale, ma anche di puro pragmatismo. 
Da questo momento l’attività filosofica di Soloviev si fa frenetica e si susseguono numerose opere, saggi e articoli, ma è soprattutto il rinnovato confronto con la “luce eterna della verità di Cristo, finora incompresa e rinnegata dall’umanità”, a dischiudere un nuovo orizzonte di pensiero e una rinnovata coscienza etica e spirituale. Nel 1878 il pensatore russo tenne un ciclo di conferenze pubbliche, seguite anche da numerosi intellettuali, che divennero immediatamente un grande avvenimento culturale, poi pubblicate con il titolo Lezioni sulla Divinoumanità, che restano tra le sintesi più emblematiche del suo pensiero. Si ricorda che durante queste lezioni, Vladimir parlava quasi immobile, con una voce bassa e solenne, e che quanto diceva rapiva l’uditorio. Ed è forse a seguito di una di queste conferenze che Dostoevskij creò la figura di Alësa Karamazov. Nonostante la differenza di età, lo scrittore divenne, secondo quanto riferisce un biografo, “l’ultimo suo amico”, affascinato dalla sua acuta intelligenza, dalla vasta cultura, e dalla bontà d’animo; insieme si recarono più volte al monastero di Optina pustin’ dove s’intrattennero con lo starec Amvrosij.
Nonostante la destituzione dalla cattedra universitaria nel 1881, per essersi schierato apertamente contro la pena capitale, la produzione filosofica si intensifica abbracciando i diversi ambiti della gnoseologia e della metafisica, dell’estetica, e dell’etica. Tuttavia il tormento che attraversa gran parte di queste opere resta quello di ricercare i fondamenti di un cristianesimo integrale e universale, chiamato a realizzare l’opera della divinoumanità sulla terra. Di qui l’insonne ricerca di una “nuova coscienza cristiana”, in grado di confrontarsi creativamente con le forme razionali della cultura e del sapere moderni, per portare alla sua piena maturazione l’idea di una “conoscenza integrale”, nella quale non è concepibile alcuna separazione tra conoscenza empirica, razionale e mistica, quest’ultima intesa essenzialmente come la capacità interiore di comprendere la profondità della realtà oltre il suo apparire fenomenico ed empirico.
Il fulcro di questo orizzonte filosofico diventa il concetto di “unitotalità” (Vseedinstvo) nel quale convergono l’unità dell’umano e l’unità del reale, e l’idea della verità come unitotalità, come bene e bellezza. Egli stesso così precisa: “La verità è il bene attuato come pensiero, mentre la bellezza consiste nello stesso bene e nella stessa verità incarnati in una forma concreta, la cui attuazione nel mondo costituisce il fine e la perfezione. Ecco perché Dostoevskij diceva che la bellezza salverà il mondo”. Nella sua filosofia la bellezza assume un evidente significato oggettivo, essa rappresenta “nient’altro che la forma sensibile del bene e della verità”, senza i quali essa si trasforma in parola vuota e in idolo. L’autentica bellezza è sempre il frutto della compenetrazione reciproca del fenomeno materiale con il principio spirituale. Da questa concezione traspare, come ha evidenziato A. Losev, “una precisa teoria dell’essere e della vita intesi come organismo universale e integrale”. A partire da questa “totalità organica del reale”, incentrata sull’incarnazione di Cristo, la bellezza, in quanto manifestazione storica della Sofia, finisce per assumere un preciso rilievo salvifico, sia sul piano antropologico che cosmologico.


L’unità in Cristo
Sulla base di questo sfondo teoretico Vladimir Soloviev scrisse le sue principali opere filosofico-religiose, tra le quali spiccano: I fondamenti spirituali della vita, le Lezioni sulla Divinoumanità e Giustificazione del bene, opere attraverso le quali egli tenta con intensa lucidità e ardimento teoretico di “esprimere il cristianesimo in una nuova forma”, ripensando la verità della religione positiva passando attraverso la crisi della civiltà moderna e contemporanea. L’incarnazione del Verbo, lungi dal proporsi come dogma astratto, costituisce invece per lui una vera e propria chiamata a compartecipare all’opera redentiva del Padre. L’intero percorso di filosofia della religione intrapreso da Soloviev intende ripensare con rigore e radicalità i fondamenti del cristianesimo, il senso della creazione e del peccato, il mistero della Trinità, dell’incarnazione e della redenzione, riattingendo non soltanto alla fonte biblico-patristica, ma anche al patrimonio della filosofia classica europea, da Platone ad Hegel. In questo rinnovato tentativo di definizione di una nuova Weltanschauung, interagiscono propositivamente filosofia e scienza, ragione e rivelazione, conoscenza razionale, simbolica e mistica. L’insieme dell’opera di Soloviev è il frutto di questa sintesi filosofico-teologica che, come ha osservato S. Bulgakov, offre alla coscienza contemporanea una concezione del mondo cristiana integrale e sviluppata in modo coerente, anche se ancora scarsamente conosciuta.
L’eredità di questo sistema filosofico si offre oggi alla cultura contemporanea del frammento in tutta la sua “inattualità”, come una provocazione ed una sfida, ma anche come tesoro inesplorato, dal quale per altro hanno tratto originario nutrimento sia la filosofia dell’omousia di Pavel Florenskij, che la teologia sofiologica di Sergej Bulgakov. Un’eredità che su molti versanti resta non solo sconosciuta ma anche scomoda, basti pensare alla riflessione di filosofia politica e sociale, non tanto alle sue idee utopistiche sulla “teocrazia”, quanto a quelle escatologiche e apocalittiche degli ultimi anni di vita, ma in particolare ai suoi scritti sull’ecumenismo nei quali emerge chiaramente il suo ruolo di precursore. Qui la ferma convinzione di Soloviev, nonostante le difficoltà e i contrasti che dividono le chiese d’Oriente e d’Occidente, è che esse comunque “continuano a essere membra dell’unica, indivisa Chiesa di Cristo; che la divisione tra le Chiese non ha mutato il loro rapporto con Cristo e con la sua Grazia sacramentale”. L’unità in Cristo viene intesa pertanto non solo come fondamento, ma come adempimento della sua volontà nella storia. La sua sofferta ricerca di unità, unitamente alla sua visione universale, costituiscono certamente la migliore eredità del pensiero religioso russo, che si offre a noi nel tempo presente come una sfida non solo teoretica ma innanzitutto esistenziale.