Un uomo nuovo

Nel 1921 Giovanni Papini era cristiano: fervente cristiano, letteralmente innamorato di Cristo. E il suo amore per Cristo lo tradusse in un'opera, la Storia di Cristo (cinquecento pagine, novantasei capitoli), nella quale egli testimonia la gioia e lo stupore dell'incontro con Colui che da sempre gli mancava; ma soprattutto in queste pagine egli invoca il Signore con l'entusiasmo del neofita, con la gioia del viandante che, dopo anni di smarrimento, approda alla casa sognata e avverte il bisogno di gridare a tutti - specialmente agli uomini di cultura - l'urgenza di un ritorno all'unico Salvatore. Nell'intenzione di Papini, la Storia di Cristo vuole essere un atto di riparazione e lo dice apertamente: "L'autore di questo libro ne scrisse un altro, anni fa, per raccontare la malinconica storia di un uomo che volle, per un momento, diventare Dio. Ora, nella maturità degli anni e della coscienza, lo stesso autore ha tentato di scrivere la vita di un Dio che si fece uomo. In quel tempo di febbre e di orgoglio, quegli che scrive offese Cristo come pochi altri, prima di lui, avevano fatto. Eppure dopo sei anni appena - ma sei anni che furono di gran travaglio e devastazione fuori di lui e dentro di lui - dopo lunghi mesi di concitati ripensamenti, ad un tratto, interrompendo un altro lavoro, quasi sollecitato e sospinto da una forza più forte di lui, cominciò a scrivere questo libro di Cristo, che ora gli sembra insufficiente espiazione di quelle colpe".
Dopo aver incontrato Cristo, tutto il resto gli sembra ombra. Scrive con deciso puntiglio: "Quello che fu prima di Cristo può essere bello, ma è morto. Cesare ha fatto, ai suoi tempi, più rumore di Gesù e Platone insegnava più scienza di Cristo. Ancor se ne ragiona, del primo e del secondo, ma chi si accalora per Cesare o contro Cesare? E dove sono, oggi, i platonici e gli anti-platonici? Cristo, invece, è vivo in noi. C'è ancora chi lo ama e chi lo odia. C'è una passione per la passione di Cristo e una per la distruzione. E l'accanirsi di tutti contro di Lui dice che Egli non è ancora morto".
Cristo è vivo! Questa è l'esperienza entusiasmante, che si ritrova in ogni convertito: Cristo è vivo!
E a Cristo, a conclusione della originalissima storia della Sua vita, Papini rivolge una memorabile preghiera che, ancora oggi, fa vibrare l'anima di profonda emozione: "Gesù, sei ancora, ogni giorno, in mezzo a noi. E sarai con noi per sempre. Vivi tra noi, accanto a noi, sulla terra ch'è tua e nostra, su questa terra che ti accolse fanciullo tra i fanciulli e giustiziabile tra i ladri; vivi coi vivi, sulla terra dei viventi che ti piacque e che ami, vivi d'una vita non umana sulla terra degli uomini, forse invisibile anche a quelli che ti cercano, forse sotto l'aspetto d'un Povero che compra il suo pane da sé e nessuno lo guarda. Ma ora è giunto il tempo che devi riapparire a tutti noi e dare un segno perentorio e irrecusabile a questa generazione. Tu vedi, Gesù, il nostro bisogno; tu vedi fino a che punto è grande il nostro grande bisogno; non puoi fare a meno di conoscere quanto è improrogabile la nostra necessità, come è dura e vera la nostra angustia, la nostra indigenza, la nostra disperazione; tu sai quanto abbisogniamo d'un tuo intervento, quant'è necessario un tuo ritorno. Sia pure un breve ritorno, una venuta improvvisa, subito seguìta da un'improvvisa scomparsa; un'apparizione sola, un arrivare e un ripartire, una parola sola nel giungere, una parola sola nello sparire, un segno solo, un avviso unico, un balenamento nel cielo, un lume nella notte, un aprirsi del cielo, un risplendere nella notte, un'ora sola della tua eternità, una parola sola per tutto il tuo silenzio. Abbiamo bisogno di te, di te solo, e di nessun altro. Tu solamente, che ci ami, puoi sentire, per noi tutti che soffriamo, la pietà che ciascuno di noi sente per se stesso. Tu solo puoi sentire quanto è grande, immisurabilmente grande, il bisogno che c'è di te, in questo mondo, in questa ora del mondo. Nessun altro, nessuno dei tanti che vivono, nessuno di quelli che dormono nella mota della gloria, può dare, a noi bisognosi, riversi nell'atroce penuria, nella miseria più tremenda di tutte, quella dell'anima, il bene che salva. Tutti hanno bisogno di te, anche quelli che non lo sanno, e quelli che non lo sanno assai più di quelli che lo sanno. L'affamato s'immagina di cercare il pane e ha fame di te; l'assetato crede di voler l'acqua e ha sete di te; il malato s'illude di agognare la salute e il suo male è l'assenza di te. Chi ricerca la bellezza nel mondo cerca, senza accorgersene, te che sei la bellezza intera e perfetta; chi persegue nei pensieri la verità, desidera, senza volere, te che sei l'unica verità degna d'esser saputa; e chi s'affanna dietro la pace cerca te, sola pace dove possono riposare i cuori più inquieti. Essi ti chiamano senza sapere che ti chiamano e il loro grido è inesprimibilmente più doloroso del nostro".
E, a questo punto, dal cuore di Papini esce un'accorata preghiera che passa attraverso la passione di Cristo e diventa passione d'amore per Lui:

"Sei venuto, la prima volta, per salvare; nascesti per salvare; parlasti per salvare; ti facesti crocifiggere per salvare: la tua arte, la tua opera, la tua missione, la tua vita è di salvare. E noi abbiamo oggi, in questi giorni grigi e maligni, in questi anni che sono un condensamento e un accrescimento insopportabile d'orrore e dolore, abbiamo bisogno, senza ritardi, d'esser salvati! Se tu fossi un Dio geloso e acrimonioso, un Dio che tiene il rancore, un Dio vendicativo, un Dio solamente giusto, allora non daresti ascolto alla nostra preghiera. Perché tutto quello che gli uomini potevan farti di male, anche dopo la tua morte, e più dopo la tua morte che in vita, gli uomini l'hanno fatto; noi tutti, quello stesso che ti parla insieme agli altri, l'abbiamo fatto. Milioni di Giuda ti hanno baciato dopo averti venduto, e non per trenta denari soli, e neppure una volta sola; legioni di Farisei, sciami di Caifa ti hanno sentenziato malfattore, degno d'esser rinchiodato; e milioni di volte, col pensiero e la volontà, ti hanno crocifisso; e un'eterna canaia di fecciosi esaltati t'ha ricoperto il viso di saliva e di schiaffi; e gli staffieri, gli scaccini, i portinai, la gente d'arme degli ingiusti detentori d'argento e di potestà ti hanno frustato le spalle e insanguinata la fronte; e migliaia di Pilati, vestiti di nero o di vermiglio, e usciti appena dal bagno, profumati d'unguenti, ben pettinati e rasati, ti hanno consegnato migliaia di volte agl'impiccatori dopo averti riconosciuto innocente; e innumerevoli bocche flatulenti e vinose hanno chiesto innumerevoli volte la libertà dei ladri sediziosi, dei criminali confessi, degli assassini conosciuti, perché tu fossi innumerevoli volte trascinato sul Teschio e affisso all'albero con cavicchi di ferro fucinati dalla paura e ribattuti dall'odio". Come fanno impressione le parole di questa ardente preghiera: è la preghiera che sembra fatta anche per i nostri giorni!
E le ultime parole della preghiera rassomigliano al respiro affannoso di chi vorrebbe comunicare tante cose, ma gli restano bloccate nella gola per l'emozione e il brivido della febbre. Però riesce ancora a dire: "La grande esperienza volge alla fine. Gli uomini, allontanandosi dall'Evangelo, hanno trovato la desolazione e la morte. Più d'una promessa e d'una minaccia s'è avverata. Ormai non abbiamo, noi disperati, che la speranza d'un tuo ritorno. Se non vieni a destare i dormenti accovati nella melma puzzante del nostro inferno, è segno che il castigo ti sembra ancor troppo corto e leggero per il nostro tradimento e che non vuoi mutare l'ordine delle tue leggi. E sia la tua volontà ora e sempre, in cielo e sulla terra. Ma noi, gli ultimi, ti aspettiamo. Ti aspetteremo ogni giorno, a dispetto della nostra indegnità e d'ogni impossibile. E tutto l'amore che potremo torchiare dai nostri cuori devastati sarà per te, Crocifisso, che fosti tormentato per amor nostro e ora ci tormenti con tutta la potenza del tuo implacabile amore".
E Papini lasciò torchiare dal suo cuore anche l'ultima goccia d'amore per Cristo. Un giorno gli capitò di leggere nel 'Pellegrino Cherubico' di Angelo Silesio, 'un protestante tedesco del Seicento, che quando si convertì al cattolicesimo diventò frate minore e poeta', questa profonda affermazione: "Anche se Cristo nascesse mille e diecimila volte a Betlemme, a nulla ti gioverà se non nasce almeno una volta nel tuo cuore". Lo scrittore di Firenze si domandò: "Ma come potrà accadere questa nascita interiore?". Ecco la risposta che egli stesso ci ha consegnato:

"Eppure questo miracolo nuovo non è impossibile purché sia desiderato e aspettato. Il giorno nel quale non sentirai una punta di amarezza e di gelosia dinanzi alla gioia del nemico o dell'amico, rallegrati perché è segno che quella nascita è prossima. Il giorno nel quale non sentirai una segreta onda di piacere dinanzi alla sventura e alla caduta altrui, consolati perché la nascita è vicina. Il giorno nel quale sentirai il bisogno di portare un po' di letizia a chi è triste e l'impulso di alleggerire il dolore o la miseria anche di una sola creatura, sii lieto perché l'arrivo di Dio è imminente. E se un giorno sarai percosso e perseguitato dalla sventura e perderai salute e forza, figli e amici e dovrai sopportare l'ottusità, la malignità e la gelidità dei vicini e dei lontani, ma nonostante tutto non ti abbandonerai a lamenti né a bestemmie e accetterai con animo sereno il tuo destino, esulta e trionfa perché il portento che pareva impossibile è avvenuto e il Salvatore è già nato nel tuo cuore. Non sei più solo, non sarai più solo. Il buio della tua notte fiammeggerà come se mille stelle chiomate giungessero da ogni punto del cielo a festeggiare l'incontro della tua breve giornata umana con la divina eternità". Scriveva così il 25 dicembre 1955, poco più di sei mesi prima di morire: senza rendersene conto, Papini scrisse pagine simili a quelle di Francesco d'Assisi!