NON ASPETTA CHE LO GUARDIAMO

Poiché siete sole, cercate di trovare una compagnia.

E quale compagnia migliore di quella dello stesso Maestro…?

Immaginatevi questo nostro Signore vicino a voi

e considerate con quale amore e con quanta umiltà vi istruisce;

credetemi, fate il possibile per non privarvi di un così buon amico.

Se vi abituerete…, se egli vedrà che lo fate con amore e che vi adoperate a contentarlo, non potrete… togliervelo d’attorno….

Credete che sia poca cosa aver sempre al fianco un tale amico?

Non vi chiedo ora di concentrare il vostro pensiero su di Lui, né di fare molti ragionamenti, né profonde e sublimi considerazioni con la vostra mente: vi chiedo solo di guardarlo.

Egli non distoglie mai gli occhi da voi;

ha sopportato da voi mille cattiverie e offese,

senza che ciò sia bastato perché lasciasse di guardarvi.

Sicché è troppo per voi… rivolgerli qualche volta a Lui?

Non aspetta altro che lo guardiamo…

(Santa Teresa d'Avila)

 

Dal Castello Interiore di Santa Teresa d’Avila

Possiamo considerare la nostra anima come un castello fatto di un solo diamante o di un tersissimo cristallo, dove sono molte stanze, come molte ve ne sono in cielo. Infatti, se ci riflettiamo bene, l’anima del giusto non è altro che un paradiso dove il Signore dice di avere le sue delizie. Io non vedo nulla a cui paragonare la grande bellezza di un’anima e la sua immensa capacità e, in verità, il nostro intelletto, per quanto acuto, difficilmente arriverà a comprenderla, al modo stesso in cui non può arrivare a comprendere Dio, poiché siamo stati creati a sua immagine e somiglianza, come dice lui stesso.Anche se tra il castello e Dio c’è tutta la differenza che intercorre tra il Creatore e la creatura, trattandosi di cosa creata, basta che Sua Maestà dica d’averla fatta a sua immagine perché possiamo, pur a stento, capire qualcosa della grande dignità e bellezza dell’anima. È di non poca vergogna il fatto che, per nostra colpa, non riusciamo a capire noi stessi né a sapere chi siamo. Non sarebbe forse segno di grande ignoranza se qualcuno, richiesto della sua identità, non sapesse rispondere né potesse dire chi è suo padre, sua madre, e quale il suo paese? Se dunque ciò denuncia un’enorme ignoranza, la nostra, quando non cerchiamo di sapere chi siamo e ci fermiamo solo alla considerazione del nostro corpo, è, senza confronto, maggiore. Sì, pressappoco, sappiamo di avere un’anima, perché lo abbiamo sentito dire e perché ce lo insegna la fede. Ma i beni che può racchiudere quest’anima o chi abita in essa, o il suo inestimabile pregio, sono cose che consideriamo raramente. Di conseguenza, ci si preoccupa poco di adoperarsi con ogni cura a conservarne la bellezza: tutta la nostra attenzione si volge sulla rozza incastonatura di questo diamante o sul muro di cinta di questo castello, cioè il nostro corpo. Consideriamo dunque che questo castello, come ho detto, contiene molte stanze. Nel centro, in mezzo a tutte, si trova la principale, che è quella nella quale si svolgono le cose di maggior segretezza tra Dio e l’anima. Come non ci nuoce considerare le bellezze che sono in cielo e il godimento dei beati, anzi ci è causa di allegrezza e ci serve di spinta per ottenere ciò di cui essi godono, non ci sarà neppure dannoso costatare la possibilità che, in questo esilio, un Dio tanto grande si comunichi a vermiciattoli così ripugnanti come siamo noi, e ci spronerà ad amare una così eccelsa bontà e una così infinita misericordia. Tornando dunque al nostro meraviglioso e delizioso castello, dobbiamo vedere in che modo vi potremo entrare. Ci sono, infatti, molte anime che restano nella cerchia esterna del castello, dove stanno le guardie, e non si preoccupano di entrare in esso né di sapere cosa racchiuda una così splendida mansione, né chi sia colui che la abita, né quali appartamenti contenga. Avrete già visto in alcuni libri di orazione che si consiglia all’anima di entrare in se stessa; ebbene, è proprio questo. Mi diceva poco tempo fa un gran teologo che le anime che non fanno orazione sono come un corpo paralizzato o rattrappito che, pur avendo piedi e mani, non li può muovere. Ed è proprio vero, perché ci sono anime così malate e così abituate a vivere fra cose esteriori, che non c’è mezzo di tirarle fuori di lì, né, a quanto sembra, possibilità che rientrino in se stesse. È ormai talmente inveterata l’abitudine di vivere con i vermi e gli animali che stanno nel recinto del castello che sono quasi divenute simili ad essi… Per quanto ne posso capire, la porta di entrata a questo castello è costituita dall’orazione e dalla meditazione. Non dico che sia più la mentale che la vocale, perché se è orazione, dev’essere accompagnata da meditazione, in quanto io non chiamo orazione quella in cui non si considera con chi si parla, che cosa si chiede, chi sia colui che chiede e colui al quale si rivolge al richiesta, anche se le labbra si muovono molto. Qualche volta forse lo sarà, pur senza queste riflessioni, ma perché sono state fatte altre volte. Chi, però, avesse l’abitudine di parlare con la maestà di Dio come parlerebbe a un proprio schiavo, senza badare se dice bene o male, ma proferendo ciò che gli viene alla bocca o che sa a memoria per averlo recitato altre volte, non fa, a mio giudizio, orazione. Piaccia a Dio che nessun cristiano preghi in tal modo!  Parliamo ora delle anime che, alla fine, entrano nel castello perché, anche se molto invischiate nel mondo, hanno buoni desideri e talora, benché di rado, si raccomandano a nostro Signore e considerano quello che esse sono, sia pure un po’ in fretta. Pregano qualche volta al mese, ma con il pensiero quasi sempre immerso nei mille affari da cui sono prese, essendovi molto attaccate, perché là dov’è il proprio tesoro, è anche il proprio cuore. Fanno però, di tanto in tanto, uno sforzo per liberarsene, ed è certo molto utile la conoscenza di sé e il rendersi conto che non si batte la via giusta per imboccare la porta. Alla fine, entrano nelle prime stanze, quelle poste in basso; ma, insieme, vi entrano una quantità di animaletti nocivi che non permettono loro di vedere la bellezza del castello né di trovarvi riposo: è già molto che vi siano entrate. Prima di andare avanti, voglio esortarvi a considerare cosa deve essere lo spettacolo di questo castello così risplendente e così bello, questa perla orientale, quest’albero di vita piantato nelle stesse acque vive della vita, che è Dio, quando l’anima cade in un peccato mortale. Non vi sono tenebre più buie, né nulla di così oscuro e fosco che possa reggerne il confronto. Non cercatene altro motivo che questo: lo stesso sole che le dava tanto splendore e bellezza, pur stando nel centro di quest’anima, è come se non ci fosse più; come se l’anima non potesse più partecipare di lui, anche se conserva la capacità di godere di Sua Maestà come il cristallo di riflettere in sé il sole. Quel sole risplendente posto al centro dell’anima non perde il suo fulgore né la sua bellezza: continua a stare nell’anima e niente può portargli via tale bellezza. Ma, se sopra un cristallo esposto al sole si mette un panno molto scuro, è evidente che, anche se il sole batte su di esso, la sua luce non avrà nessun effetto sul cristallo.  O anime redente dal sangueãdi Gesù Cristo! Rendetevi conto di questo stato e abbiate pietà di voi stesse! Com’è possibile che, acquistata tale consapevolezza, noF cerchiate di togliere questa pece dal vostro cristallo? Ma, ritorniamo al nostro castello e alle sue molte mansioni. Non dovete immaginare queste mansioni una dietro l’altra, come poste in fila, ma portare il vostro sguardo al centro, che è l’abitazione o il palazzo dove sta il Re; dovete far conto che sia un «palmetto» in cui, prima d’arrivare al frutto, si trova un fitta ricopertura di foglie che lo circondano da ogni parte. Così, qui, intorno a questa stanza, e anche al di sopra, ve ne sono molte altre, perché le cose dell’anima vanno sempre considerate con ampiezza, estensione e magnificenza, senza paura di esagerare, essendo la sua capacità superiore a ogni nostra immaginazione, e ogni parte di essa irradiata dal sole che ha sede in questo palazzo. È molto importante che un’anima di orazione, qualunque sia il grado da essa raggiunto, non sia rincantucciata e costretta in una sola stanza. La si lasci circolare per queste mansioni, in aito, in basso, e ai lati, poiché Dio le ha conferitl così gran nobiltà; non la si tiranneggi obbligandola a stare a lungo nello stesso posto, sia pure in quello della conoscenza di sé. Capitemi bene, però: la conoscenza di se stessi è tanto necessaria anche alle anime ammesse dal Signore nella sua stessa mansione, che mai – per quanto elevate esse siano – devono trascurarla, né potrebbero farlo, anche volendolo, perché l’umiltà è come l’ape che fabbrica continuamente nell’alveare il miele, senza di che tutto sarebbe perduto. Ma, consideriamo anche che l’ape non tralmscia di uscire e di volare per succhiare il nettare dei fiori. Così dev’essere dell’anima nella conoscenza di se stessa: mi creda, e prenda di tanto in tanto il volo per considerare la grandezza e la maestà del suo Dio. In ciò scoprirà lá propria bassezza assai meglio che guardando in se stessa, e sarà più esente dagli anImaletti immondi che entrano nelle prime stanze, cioè quelle della conoscenza di sõ; e, credetemi, con l’aiuto di Dio attueremo assai miglior virtù che rimanendo molto attaccate al„ nostrz fango.

 

 

LA TUA VOLONTÀ SI COMPIA IN ME

In questo istante, o mio Dio,

liberamente e senza alcuna riserva,

io consacro a te il mio volere.

Purtroppo, Signore, la mia volontà non sempre si accorda con la tua.

Tu vuoi che ami la verità e io spesso amo la menzogna.

Tu vuoi che cerchi l'eterno

e io mi accontento dell'effimero.

Tu vuoi che aspiri a cose grandi,

e io mi attacco a delle piccolezze.

Quello che mi tormenta, Signore,

è di non sapere con certezza se amo te sopra ogni cosa.

Liberami per sempre da ogni male, la tua volontà si compia in me:

solo tu, Signore, sii il mio tutto.

(Santa Teresa d'Avila )