P inocchio non lo definirei un testo per l'infanzia. È un libro nato per i bambini, che in realtà è sfuggito a Collodi. È il romanzo più violento della letteratura italiana. Non credo ce ne sia uno più violento di quello. Ha un apparato repressivo di potenza sterminata, che (per citare Freud) costringe la creatura umana a passare dal principio di piacere al principio di realtà, da una fase di vita senza cronologia, senza storia, senza senso della morte, dove la vita è pura scoperta, dove c'è curiosità, dove c'è voglia di rincorrere le farfalle al mondo civile che stabilisce le regole: bisogna studiare, diventare bravi ragazzi, comportarsi in maniera educata e fare sacrifici, lavorare per poter mangiare. Tutto sacrosanto. È per questo che è un grande libro, e per questo somiglia un po' a una tragedia greca, perché c'è un conflitto irrisolvibile dentro: in fondo non si può vivere da burattini, bisogna vivere da persone umane, però per poterlo fare c'è un prezzo da pagare, comunque molto pesante.

 

Io non so se ho la fede. Ma di fronte alla vita, un albero, un gatto, mi emoziono. Non capisco chi ce l'ha messa qui davanti, questa vita. E questo mi sconvolge".